Washington, 30 settembre 2025 – L’amministrazione Trump continua a mettere sotto pressione il sistema universitario statunitense, aprendo un nuovo fronte volto a limitare i finanziamenti federali a importanti istituti come Harvard. Questa strategia si inserisce in un contesto di crescente tensione che coinvolge le università pubbliche e private degli Stati Uniti, sollevando preoccupazioni circa la libertà accademica e l’autonomia della ricerca.
La stretta sui finanziamenti federali: Harvard, Columbia, Pennsylvania
Negli ultimi anni, diverse università di rilievo hanno subito il congelamento o la riduzione di fondi pubblici a causa di controversie politiche e sociali. Ad esempio, la Columbia University ha visto tagli per circa 400 milioni di dollari perché ritenuta insufficiente nel contrastare episodi di antisemitismo sul campus. Allo stesso modo, l’Università della Pennsylvania ha perso 175 milioni di dollari di finanziamenti federali, dopo aver autorizzato la partecipazione di una nuotatrice transgender nella squadra femminile, una decisione che ha scatenato forti critiche da parte dell’amministrazione Trump.
Harvard, simbolo della tradizione accademica americana, è anch’essa sotto la lente d’ingrandimento di Washington, con il rischio concreto che i tagli ai fondi possano compromettere non solo la qualità della ricerca, ma anche la stessa libertà di insegnamento, da sempre pilastro fondamentale del prestigio delle università americane. Jeffrey Flier, ex preside della Harvard Medical School, ha definito questa situazione una “minaccia esistenziale” per l’intero sistema accademico.
La pressione si traduce in una vera e propria sorveglianza sull’offerta didattica, con particolare attenzione agli studi sul Medio Oriente, settore considerato “sensibile” dall’amministrazione Trump. La Casa Bianca sembra intenzionata a limitare la libertà accademica, influenzando la ricerca e i contenuti insegnati all’interno delle università.
La risposta degli atenei e il rischio di fuga dei talenti
Molti rettori e amministratori universitari negli Stati Uniti stanno cercando di anticipare questa nuova realtà, invitando docenti e ricercatori a prepararsi a periodi di sottofinanziamento e incertezza. Il timore principale è che, oltre al danno economico, venga compromessa l’autonomia delle istituzioni accademiche, con un indebolimento della loro capacità di attrarre studenti e studiosi internazionali.
Alcune università straniere, come quelle di Toronto, Losanna e persino di Kiev, hanno già manifestato la disponibilità ad accogliere ricercatori in difficoltà negli Stati Uniti. Tuttavia, secondo esperti del settore, non è probabile che si verifichi una massiccia fuga di accademici americani verso l’estero. Più realisticamente, ciò che si osserva è una crescente riluttanza da parte di studiosi internazionali a intraprendere viaggi o collaborazioni con istituzioni statunitensi, a causa di politiche migratorie restrittive e di un clima percepito come ostile.
Un fenomeno particolarmente preoccupante riguarda i giovani ricercatori, specialmente quelli provenienti da regioni come il Medio Oriente o l’Estremo Oriente, che si trovano esposti a misure di sorveglianza o a provvedimenti di espulsione arbitraria. Questi elementi potrebbero indurre una dispersione di talenti che finora avevano trovato negli Stati Uniti un ambiente fertile per la crescita accademica.






