New York, 4 ottobre 2025 – Dopo mesi di tensioni e conflitti, si apre uno spiraglio diplomatico in Medio Oriente grazie all’intervento diretto dell’amministrazione Trump e alla risposta positiva di Hamas alla sua proposta di cessate il fuoco e rilascio degli ostaggi. Un momento cruciale segnato da un cambio di strategia da parte di tutte le parti coinvolte e dall’inaspettata disponibilità del movimento palestinese a negoziare.
Hamas accetta la proposta di pace e apre ai negoziati
In un comunicato ufficiale, Hamas ha dichiarato la propria disponibilità a rilasciare tutti gli ostaggi israeliani, sia vivi sia deceduti, secondo quanto previsto dal dettagliato piano in 20 punti proposto da Donald Trump. L’organizzazione palestinese ha inoltre espresso la volontà di avviare immediatamente negoziati sui dettagli della proposta americana, ponendo condizioni per garantire il ritiro graduale delle forze israeliane dalla Striscia di Gaza e la gestione della regione da parte di un ente palestinese sostenuto dal mondo arabo e islamico.
Il portavoce di Hamas, Taher Al-Nounou, ha definito “incoraggianti” le parole di Trump che invitano Israele a sospendere i bombardamenti, sottolineando che l’organizzazione è pronta a negoziare “per porre fine alla guerra e garantire il ritiro dell’esercito israeliano da Gaza”. Tuttavia, Hamas mantiene alcune riserve su questioni come il disarmo e la presenza di una forza internazionale di controllo, elementi chiave del piano statunitense che saranno oggetto di ulteriori discussioni.
Trump chiede il cessate il fuoco e Israele rallenta le operazioni
Sulla scia della risposta di Hamas, il presidente degli Stati Uniti ha esortato Israele a fermare immediatamente i bombardamenti su Gaza per consentire un rilascio sicuro e rapido degli ostaggi. Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno già iniziato a sospendere gli attacchi offensivi, limitandosi ad azioni difensive, con il capo di Stato Maggiore Eyal Zamir che ha ordinato di prepararsi alla prima fase del piano Trump per il rilascio degli ostaggi.
Questo cambio di rotta è stato accolto con sorpresa da Benjamin Netanyahu, il quale, secondo fonti israeliane, aveva inizialmente interpretato la risposta di Hamas come un rifiuto della proposta di pace. Tuttavia, la squadra negoziale israeliana coinvolta nella liberazione degli ostaggi ha visto nella dichiarazione palestinese un’apertura significativa. Il premier israeliano ha espresso la necessità di coordinare la risposta con gli Stati Uniti per non dare l’impressione che Hamas abbia accettato il piano senza riserve.
Netanyahu accetta il piano Trump ma resta cauto con Hamas
Durante la sua quarta visita alla Casa Bianca nel 2025, Netanyahu ha accettato formalmente il piano di pace statunitense, seppur con riserve e un atteggiamento prudente. Il piano Trump prevede un accordo in cui Hamas cederà il controllo della Striscia di Gaza a un comitato palestinese tecnocratico, supervisionato da un organismo internazionale presieduto dallo stesso Trump e comprendente figure come l’ex premier britannico Tony Blair, nonostante la diffidenza di Hamas verso la sua figura.
Il documento statunitense prevede la smilitarizzazione di Gaza e la consegna di tutte le armi da parte di Hamas, con un ritiro graduale delle truppe israeliane e un rilascio di prigionieri in cambio degli ostaggi. Il premier israeliano ha inoltre chiesto scuse ufficiali al Qatar per i raid condotti contro i leader di Hamas a Doha, gesto essenziale per sbloccare la ripresa dei negoziati.
Reazioni internazionali e ruolo di Trump nel processo di pace tra Israele e Hamas
La posizione di Donald Trump, tornato alla presidenza nel 2025 per un secondo mandato non consecutivo, è stata fondamentale nel dare impulso al processo di pace. Il presidente ha ringraziato pubblicamente i paesi come Qatar, Turchia e Arabia Saudita per il loro ruolo nella mediazione. Il presidente francese Emmanuel Macron ha definito “a portata di mano” il rilascio degli ostaggi e il cessate il fuoco a Gaza, sottolineando l’impegno della Francia nella cooperazione internazionale per la stabilità della regione.
Nel contesto interno americano, il piano di pace ha ricevuto commenti positivi dal leader democratico al Senato, Chuck Schumer, e da altri esponenti, mentre tra i repubblicani vi sono posizioni contrastanti, con alcuni favorevoli a un taglio degli aiuti militari a Israele e altri più intransigenti nei confronti di Hamas.
Le famiglie degli ostaggi israeliani hanno accolto con gratitudine la svolta, definendo l’accordo “storico” e sperando che possa finalmente porre fine a quasi due anni di angoscia.
La figura di Donald Trump nel nuovo equilibro mediorientale
Donald Trump, imprenditore e politico statunitense, è tornato alla presidenza nel 2025, dopo aver già ricoperto il ruolo dal 2017 al 2021. Conosciuto per il suo stile diretto e controverso, Trump ha assunto un ruolo di mediatore attivo nel conflitto israelo-palestinese, sfruttando la sua influenza internazionale e le relazioni con i paesi arabi per promuovere una soluzione negoziata.
Il suo piano, articolato in venti punti, si basa sul rilascio immediato degli ostaggi, la cessazione dei combattimenti e un riassetto politico amministrativo di Gaza, con l’obiettivo di stabilizzare la regione e aprire la strada a una pace duratura. Il presidente ha messo in chiaro che il successo del piano dipenderà dalla collaborazione di tutte le parti e ha avvertito Hamas con un ultimatum: accettare la proposta o affrontare una risposta militare più dura.
Netanyahu e il difficile equilibrio politico
Benjamin Netanyahu, primo ministro israeliano dal dicembre 2022, è una figura centrale in questo scenario. Leader del partito Likud e politico di lunga esperienza, Netanyahu ha mostrato inizialmente scetticismo verso il piano Trump, ma ha dovuto fare i conti con la pressione internazionale, soprattutto da parte degli USA. La sua accettazione formale del piano rappresenta un segnale importante, anche se rimangono dubbi sulla reale volontà di attuare tutte le condizioni, soprattutto quelle che riguardano il disarmo di Hamas e il futuro statutario della Striscia di Gaza.
In definitiva, il nuovo corso diplomatico, guidato dall’iniziativa statunitense, apre una fase delicata ma potenzialmente risolutiva per uno dei conflitti più lunghi e complessi della storia moderna.






