Le ultime dichiarazioni dell’ONU sulle condizioni nella Striscia di Gaza gettano una luce drammatica sulla situazione umanitaria nel territorio palestinese. Secondo quanto riferito dall’UNICEF, la cosiddetta “zona sicura” nel sud di Gaza, promossa da Israele come rifugio per i civili in fuga da Gaza City, in realtà non garantisce alcuna sicurezza.
L’ONU denuncia: “La zona sicura nel sud di Gaza è una farsa”
Il portavoce dell’UNICEF, James Elder, ha espresso con fermezza a Ginevra la posizione dell’Organizzazione: “L’idea di una zona sicura nel sud è una farsa”. Le parole del portavoce sottolineano come le aree designate da Israele per l’evacuazione dei civili siano in realtà “luoghi di morte”. Le scuole, inizialmente individuate come rifugi temporanei, vengono sistematicamente colpite e ridotte in macerie, mentre le tende destinate ad accogliere le famiglie risultano vulnerabili ai continui bombardamenti aerei. Elder ha descritto la situazione con immagini drammatiche: “le bombe vengono sganciate dal cielo con agghiacciante prevedibilità”.
La situazione sul terreno e le restrizioni di movimento
Mentre l’esercito israeliano (IDF) ha chiuso la strada costiera Rashid verso nord per impedire il ritorno a Gaza City, gli spostamenti verso sud rimangono permessi, anche se sotto stretto controllo militare. Secondo le stime israeliane, oltre 800mila persone hanno già lasciato Gaza City in seguito agli avvisi di evacuazione. Tuttavia, la chiusura di corridoi strategici e l’intensificarsi dei combattimenti complicano ulteriormente la situazione per i civili.
A causa dell’escalation militare, il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) ha dovuto sospendere temporaneamente le attività nel centro di Gaza City, trasferendo il personale nel sud della Striscia per garantire la sicurezza e la continuità degli interventi umanitari.
Questi elementi confermano la grave crisi umanitaria in corso, con la popolazione civile intrappolata in una zona di conflitto senza alcun effettivo rifugio sicuro, nonostante le evacuazioni forzate e le promesse di “zone protette”.






