L’accordo per la prima fase del cessate il fuoco sta per essere approvato e con esso scatterà il conto alla rovescia per il ritorno degli ostaggi israeliani, la liberazione dei prigionieri palestinesi e il ritiro delle forze israeliane dalla Striscia di Gaza. Un possibile inizio per immaginare il futuro di un territorio devastato: in due anni 67mila persone sono morte, 168mila sono rimaste ferite e due milioni hanno perso casa, scuola e speranze.
Gaza, i tempi dell’intesa
Un funzionario della Casa Bianca ha spiegato alla Cnn che “una volta approvato l’accordo, Israele dovrà ritirarsi sulla linea, il che dovrebbe richiedere meno di 24 ore”. Dopo il ritiro, scatteranno 72 ore per il rilascio degli ostaggi israeliani. I vivi torneranno a casa tra domenica e lunedì; seguiranno i corpi dei morti e, solo dopo, la liberazione dei prigionieri palestinesi.
Il ritorno degli ostaggi
Le operazioni saranno coordinate dal Comitato internazionale della Croce Rossa. I primi a uscire saranno i venti ostaggi israeliani ancora vivi. Subito dopo inizieranno le ricerche e il recupero dei corpi di chi è stato ucciso il 7 ottobre o è morto durante la prigionia.
Secondo la Cnn, Hamas non è in grado di individuare una decina di corpi, sepolti sotto le macerie o in zone distrutte dai bombardamenti. Un dettaglio su cui si continuerà a lavorare, ma che non comprometterà l’accordo, poiché Israele era già informato della situazione.
I prigionieri palestinesi e il nodo Barghouti
Secondo la Bbc, Israele ha rifiutato il rilascio di Marwan Barghouti, nonostante le pressioni di Hamas. Restano esclusi anche Abdullah Barghouti, Ahmed Saadat, Hassan Salama e Abbas al-Sayyed, considerati da Israele le menti degli attacchi dei primi anni Duemila.
Saranno liberati 250 ergastolani su 285 e circa 1.700 persone arrestate a Gaza negli ultimi due anni. Hamas ha chiesto di includere alcuni membri delle sue brigate Al Nukba, protagonisti dell’attacco del 7 ottobre 2023, ma Israele si oppone fermamente.
Gli aiuti alla popolazione di Gaza
Con l’avvio del cessate il fuoco entreranno immediatamente gli aiuti umanitari. Sono previsti 400 camion al giorno nella prima fase, con un progressivo aumento nei giorni successivi.
Resta da definire nel dettaglio cosa potrà entrare nella Striscia: servono urgentemente cibo, medicine, tende, prefabbricati e mezzi per rimuovere le macerie.
Il ritiro dell’Idf e la deposizione delle armi di Hamas
L’Idf dovrà ritirarsi da gran parte del territorio della Striscia di Gaza, mantenendo però una presenza militare a Rafah, zona di confine con l’Egitto e per anni crocevia del contrabbando di armi e materiali vietati.
L’operazione è pronta da giorni e dovrebbe concludersi in meno di 24 ore. Restano tuttavia da chiarire alcuni dettagli operativi cruciali.
Hamas si è impegnata a deporre le armi, ma non a rinunciare al proprio ruolo politico. A garantire il rispetto dell’intesa saranno alcuni Paesi arabi, in particolare Qatar e Turchia, chiamati a vigilare su una delle questioni più delicate della fase successiva al cessate il fuoco.
Il ruolo degli Stati Uniti
Donald Trump potrebbe arrivare in Israele nelle prossime ore, su invito del premier Benjamin Netanyahu, che lo ha invitato a parlare alla Knesset. Una mossa anche politica, utile a placare le tensioni con l’ala più radicale del governo israeliano, contraria all’accordo.
Le incognite del dopo-guerra: chi governerà Gaza e chi garantirà la pace
Molte domande restano aperte. Chi governerà la Striscia di Gaza dopo il ritiro israeliano? Come funzionerà l’organismo internazionale che dovrebbe essere presieduto da Donald Trump e guidato da Tony Blair? Chi rappresenterà i palestinesi nel nuovo equilibrio?
Resta da capire se i Paesi arabi riusciranno davvero a garantire il disarmo di Hamas e se Israele rispetterà gli impegni assunti, senza revocare l’intesa una volta liberati gli ostaggi.
Un fragile cessate il fuoco che potrebbe aprire la strada a una nuova fase — o segnare solo una tregua temporanea in un conflitto ancora pieno di incognite.






