Mosca, 30 dicembre 2025- La realtà del presunto attacco alla residenza di Vladimir Putin rimane, per ora, nascosta tra le foreste innevate di Novgorod, tanto invisibile quanto i droni che ogni notte attraversano il cielo. Trascorse alcune ore dall’azione denunciata da Mosca, non è emersa alcuna prova concreta. Di solito, quando i velivoli ucraini colpiscono città e villaggi russi, sui social circolano rapidamente filmati amatoriali: è accaduto persino per incursioni contro basi aeree e raffinerie strategiche, nonostante la segretezza.
In questo caso, invece, l’attacco alla dimora presidenziale resta senza riscontri, avvolto nel silenzio. Sebbene il ministro degli Esteri Sergej Lavrov abbia parlato di 91 droni abbattuti, non è stato mostrato né fotografato alcun relitto. Nessun elemento tangibile è stato fornito a conferma di uno scontro che avrebbe dovuto coinvolgere decine di sistemi di difesa aerea, caccia e radar, con la partecipazione di centinaia, se non migliaia, di militari.
Residenza di Putin, dichiarazioni contrastanti
I dati diffusi da Lavrov sollevano ulteriori interrogativi. Nella mattinata precedente, il ministero della Difesa russo guidato da Andrej Belousov aveva pubblicato sul proprio canale Telegram un comunicato asciutto e formale: tra le 7 e le 9 del mattino, ora di Mosca, i sistemi di difesa aerea avevano intercettato e distrutto 23 droni ucraini di tipo aereo sopra la regione di Novgorod. Una comunicazione dai toni ordinari, priva di riferimenti a un attentato contro il capo dello Stato. Soprattutto, il bilancio indicato è molto distante da quello annunciato nove ore dopo dal ministro degli Esteri: 23 droni contro 91. Una discrepanza che alcuni blogger militari russi hanno segnalato, provando a interpretarne le ragioni.

La correzione a distanza di ore
Dodici ore dopo il primo comunicato e quasi quattro dopo le dichiarazioni di Lavrov, i vertici della Difesa hanno diffuso una seconda nota, parlando apertamente di “un attacco terroristico condotto con 91 droni contro la residenza del Presidente nella regione di Novgorod”. Per sostenere questo conteggio, sono stati inclusi velivoli ucraini che sarebbero stati abbattuti a centinaia di chilometri dal presunto obiettivo.
Secondo il nuovo resoconto, nella regione di Bryansk sarebbero stati intercettati durante la notte 49 droni diretti verso Novgorod; uno sarebbe stato abbattuto sopra la regione di Smolensk con la stessa destinazione; sopra Novgorod, fino alle 7 del mattino, ne sarebbero stati distrutti 18, seguiti da altri 23 tra le 7 e le 9. Più della metà, dunque 49, sarebbero caduti nella regione di Bryansk, vicino al confine ucraino, mentre la residenza di Putin si trova a circa settecento chilometri di distanza, rendendo difficile indicarla come obiettivo finale. In base al testo ufficiale, solo diciotto droni risulterebbero direttamente collegati al piano di colpire la villa presidenziale.
La maskirovka del Cremlino
Questi elementi sembrano rafforzare la versione di Kiev, secondo cui l’attacco alla residenza di Putin sarebbe una “false flag”, creata per giustificare un’escalation e bloccare i negoziati. Episodi simili non sono estranei alla tradizione sovietica: il caso più noto risale al 26 novembre 1939, quando l’Armata Rossa, su ordine dell’Nkvd staliniano, bombardò il villaggio russo di Manila accusando i finlandesi per avviare l’invasione. Ciò che emerge ora, però, sembra andare oltre.
Non si tratterebbe della classica disinformazione, dai tempi lunghi, ma di un’operazione mirata a ottenere effetti immediati, tipica della sua applicazione militare nota come “maskirovka”: generare ambiguità per guadagnare libertà d’azione a ogni livello e influenzare le decisioni dell’avversario. L’obiettivo sarebbe la Casa Bianca, da allontanare definitivamente da Zelensky, dipingendolo come ingannevole e inaffidabile. Un capovolgimento dei fatti che potrebbe incidere sull’esito del conflitto, consentendo a Mosca di legittimare una rappresaglia durissima e, allo stesso tempo, di indebolire il già fragile rapporto tra Washington e Kiev.
I dubbi degli alleati sull’attacco alla residenza di Putin
Il silenzio di Donald Trump e dei servizi segreti statunitensi appare tanto significativo quanto preoccupante: è possibile che satelliti, intercettazioni e strumenti di intelligence cibernetica non riescano né a confermare né a smentire l’attacco a Putin? Ancora più enigmatico è il mutismo delle intelligence europee, mentre i governi più vicini all’Ucraina hanno evitato prese di posizione.
Una situazione che richiama alla memoria il sabotaggio del gasdotto Nord Stream nell’ottobre 2022, compiuto da operatori ucraini e inizialmente ritenuto improbabile. Oggi si pensa che l’azione sia stata condotta da forze speciali senza il coinvolgimento diretto della presidenza, convinte di agire per il bene futuro del Paese. Resta aperta la possibilità che qualcosa di simile sia accaduto anche nel caso denunciato dal Cremlino.
Le mosse dell’intelligence di Kiev
Le operazioni con droni sul territorio russo sono coordinate dai due servizi segreti ucraini: quello militare, guidato dal generale Kyrylo Budanov, e quello civile, diretto dal generale Vasyl Maljuk, detto “il Mastino”, a cui vengono attribuite le eliminazioni di ufficiali a Mosca e che ha rivendicato le operazioni più eclatanti. In questa fase Budanov appare molto vicino al presidente e gli vengono attribuite ambizioni politiche, come la possibile sostituzione di Andrej Yermak nel ruolo di principale stratega del governo.
Maljuk, invece, prosegue senza esitazioni la campagna contro i centri del potere russo, dalle raffinerie alle petroliere, senza considerare le conseguenze. A complicare ulteriormente il quadro, le unità incaricate del lancio dei droni operano in totale segretezza e con ampia autonomia: mantengono il silenzio radio per ore o giorni, evitando di rivelare i preparativi delle incursioni. È possibile che qualche comandante abbia interpretato le parole natalizie di Zelensky – “Ognuno di noi si augura che muoia” – come un’autorizzazione a intensificare le operazioni? Un’ipotesi difficilmente verificabile, se non del tutto indimostrabile.

La mappa dell’enigma
Esiste però un elemento insolito. Il canale Telegram ucraino “Dronebomber” pubblica ogni mattina una mappa dei voli notturni dei droni, spiegando che si basa su “fonti aperte” russe, ovvero segnalazioni sui social di cittadini che li avvistano sopra le proprie abitazioni. Quella diffusa ieri mostrava uno sciame di velivoli diretti verso la regione di Novgorod, indicati solo nella fase iniziale del volo, senza consentire di determinarne la destinazione finale. Finora queste informazioni si sono dimostrate affidabili. Nella mappa comparivano due grandi gruppi di droni: uno puntava verso la Crimea, dove sono poi emerse numerose immagini degli attacchi contro obiettivi militari; dell’altro, diretto a nord verso Novgorod, non si è saputo più nulla.






