Milano, 2 dicembre 2025 – L’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone è ben lontano dall’immagine di militare aggressivo che qualcuno gli ha attribuito dopo l’intervista al Financial Times. In realtà, da anni ripete che il conflitto in Ucraina è ormai bloccato e che solo un’iniziativa diplomatica può fermare la spirale militare. Già nel 2023, in un’intervista a Repubblica, aveva sottolineato come la vera sfida comunicativa non fosse tanto contrastare la propaganda russa, quanto convincere quella parte del mondo rimasta neutrale a far sentire con decisione la propria voce per chiedere la fine di una guerra che considera anacronistica.
Cavo Dragone, una carriera costruita sul campo
Cavo Dragone, 68 anni, è un ufficiale noto per il suo approccio operativo e per il forte rispetto delle istituzioni democratiche. È sempre stato abituato a risolvere problemi all’interno dei limiti fissati da Parlamento e governo, mantenendo uno stile diretto e schietto anche nelle audizioni parlamentari.
Un tratto distintivo della sua carriera è il fatto di essere arrivato ai vertici delle Forze armate senza aver mai fatto parte degli staff di ministri o presidenti del Consiglio, una rarità nei tempi recenti. La sua nomina è stata promossa dall’allora ministro della Difesa Lorenzo Guerini, durante il governo Draghi, e ha richiesto persino un adeguamento dei limiti d’età approvato dal Quirinale, segno del riconoscimento per un percorso considerato eccezionale.

Le missioni più delicate
La prova forse più impegnativa della sua carriera arriva alla fine del 2001. Dopo l’attentato alle Torri Gemelle e l’attivazione dell’articolo 5 della Nato, Cavo Dragone parte sulla portaerei Garibaldi verso l’Oceano Indiano per partecipare alla campagna contro i terroristi islamici in Afghanistan. Pilota di caccia ed esperto di Harrier a decollo verticale, comanda la squadriglia imbarcata sulla nave. L’accoglienza iniziale degli americani è improntata alla diffidenza: temono che i piloti italiani non siano in grado di affrontare missioni tanto lunghe e complesse. Ma nel giro di due settimane quella sfiducia svanisce. Gli equipaggi della Marina dimostrano piena capacità operativa e il primo Harrier che colpisce un obiettivo talebano è proprio quello pilotato da Cavo Dragone.
Nel 2002 assume il comando della Garibaldi e nel 2008 quello del Comsubin, uno dei reparti d’élite più noti della Marina e prestigiosi a livello internazionale. Successivamente svolge il ruolo di consulente per i giudici impegnati nelle indagini sul naufragio della Costa Concordia. Da lì passa alla guida di tutte le forze speciali italiane e nel 2016 al comando del Coi, la struttura che coordina i militari impiegati nelle missioni nazionali e internazionali.
Sono gli anni dell’impegno contro lo Stato islamico in Iraq e nel Kurdistan. L’Italia partecipa con propri istruttori che, in alcune circostanze, accompagnano le unità addestrate fino alle zone del fronte, anche nei pressi di Mosul. In questo contesto sorgono i primi contrasti con il generale Roberto Vannacci, allora comandante del contingente sul campo, che presenta esposti riguardo rischi ambientali nelle aree operative. Le divergenze tra i due torneranno a emergere nel 2023, quando Cavo Dragone promuove l’azione disciplinare nei confronti di Vannacci dopo la pubblicazione non autorizzata del libro Il mondo al contrario.
La guida della Marina e poi della Difesa
Nel 2019 Cavo Dragone diviene capo di Stato maggiore della Marina. Due anni più tardi assume il vertice dell’intera Difesa, proprio mentre l’Europa assiste al ritorno della guerra e alla necessità di riorganizzare profondamente lo strumento militare. In questo periodo la flotta russa adotta una postura particolarmente aggressiva nel Mediterraneo, arrivando a mobilitare sottomarini nucleari e a condurre missioni fin dentro l’Adriatico, con la conseguente esigenza di un monitoraggio continuo da parte della Marina italiana.
Dopo il sabotaggio del gasdotto Nord Stream, l’attenzione si sposta anche sulle infrastrutture subacquee, soprattutto gasdotti e cavi in fibra ottica, spesso oggetto di attività sospette da parte di navi spia russe. In un’intervista del 2022 Cavo Dragone osserva che nel Mediterraneo non esiste più una condizione di “pace” tradizionale: si passa direttamente dalla competizione alla crisi, con il rischio di scivolare nel conflitto.
Al vertice militare della Nato
A gennaio dell’ultimo anno ha assunto la presidenza del Comitato militare della Nato, incarico reso possibile anche dalle ottime relazioni costruite con i colleghi europei, in particolare francesi. Pur non avendo il compito di comandare direttamente le forze dell’Alleanza – responsabilità del comandante supremo, oggi il generale statunitense Alexus Grynkewich – svolge il ruolo di principale consigliere militare del segretario generale Mark Rutte. È lui a delineare il quadro strategico e a suggerire iniziative per l’Alleanza.
In questo ruolo propone, anche nell’intervista che ha suscitato polemiche, di adottare un metodo diverso per contrastare la guerra ibrida in corso in Europa, introducendo un concetto di deterrenza applicato anche ai domini cyber e informativo. L’idea è definire una capacità di risposta credibile che scoraggi ulteriori attacchi cibernetici o campagne di disinformazione. Per realizzare questo passaggio ritiene necessario che i Parlamenti dei Paesi Nato valutino nuovi strumenti legislativi, fra cui l’autorizzazione ad azioni offensive nel cyberspazio.
Un uomo lontano dalle ambizioni personali
Sul piano personale, Cavo Dragone è sposato e ha tre figli, dei quali solo uno ha intrapreso la carriera militare. Ama spostarsi in moto, spesso una Harley Davidson con cui raggiungeva lo Stato maggiore. Sulla sua scrivania tiene ancora il casco da pilota con il soprannome “The Duke”. È noto tra colleghi e collaboratori per non aver mai mostrato particolare attaccamento alla carriera o ai gradi.
Un episodio della giovinezza ha contribuito a modellare il suo carattere. Durante gli anni dell’Accademia navale, una punizione lo escluse da un viaggio dei cadetti. L’aereo che avrebbe dovuto trasportarli precipitò dopo il decollo da Pisa il 3 marzo 1977, causando la morte di tutti i presenti. Da allora Cavo Dragone si considera un sopravvissuto, e chi lo conosce sostiene che questa consapevolezza abbia accompagnato ogni tappa del suo percorso.






