È la sera di venerdì 13 novembre 2015. Allo Stade de France, nella periferia parigina di Saint-Denis, si gioca l’amichevole Francia-Germania. Sugli spalti c’è anche il presidente François Hollande, accompagnato da uno dei suoi figli. Alle 21:16, un’esplosione squarcia l’aria: un kamikaze si è fatto esplodere all’ingresso dello stadio, uccidendo Manuel Dias, 63 anni, autista di taxi in sosta. Pochi minuti dopo, altre due deflagrazioni confermano i sospetti: non è un incidente, ma un attacco terroristico coordinato. Hollande viene messo in sicurezza e convoca immediatamente l’unità di crisi, mentre la polizia e i servizi segreti iniziano a ricevere notizie di sparatorie nel centro di Parigi. Poco dopo l’inizio dell’attacco al simbolo di quella notte: il teatro Bataclan.
Venerdì 13 novembre 2015: le tre squadre della morte terrorizzano Parigi
La capitale è nel caos. I terroristi, dieci in tutto, agiscono in tre squadre distinte.
Tre si fanno esplodere allo Stade de France, tre aprono il fuoco sui bistrot e ristoranti affollati del centro, altri tre prendono d’assalto il teatro Bataclan, dove è in corso il concerto degli Eagles of Death Metal.
Nella sala da concerto si consuma il massacro più feroce: i terroristi sparano sulla folla con kalashnikov, colpendo indiscriminatamente spettatori e personale. Centinaia di persone restano intrappolate per ore, mentre le forze speciali francesi si preparano all’intervento.
Il Bataclan, simbolo della tragedia
Alle 00:20, dopo un lungo assedio, le teste di cuoio fanno irruzione nel Bataclan. Due terroristi vengono uccisi, uno si fa esplodere. Il bilancio complessivo della notte del 13 novembre è drammatico: 130 morti e 413 feriti.

La Francia è sotto shock. Le strade restano deserte, Parigi piange le sue vittime. Per molti, quella notte segna la fine di un’epoca e l’inizio di una nuova stagione di paura.
Salah Abdeslam, il terrorista in fuga
Uno solo dei membri del commando riesce a fuggire: Salah Abdeslam. Doveva partecipare agli attentati allo Stade de France, ma all’ultimo abbandona la missione, si libera della cintura esplosiva e scappa verso il Belgio.
Riesce a far perdere le sue tracce per quattro mesi. Solo il 18 marzo 2016 viene catturato nel suo covo a Molenbeek, vicino Bruxelles, e successivamente consegnato alla giustizia francese.
In quei mesi, la sua fuga diventa il simbolo delle falle nei sistemi di sicurezza europei: Abdeslam era stato fermato a un posto di blocco, ma non segnalato come terrorista a causa delle regole di Schengen.
“La notte più dura della mia vita pubblica”
Dieci anni dopo, nel podcast “Bataclan – 10 anni dopo” di Marta Brambilla Pisoni, l’allora ministro dell’Interno Bernard Cazeneuve ha ricordato quella notte come “la più dura della mia vita pubblica”.
Così ha raccontato la corsa contro il tempo per coordinare le operazioni, il peso schiacciante della responsabilità e il dolore per le vittime: “Ho sentito in modo ossessivo il dovere di proteggere i francesi a qualunque costo”.
Dopo il blitz al Bataclan, Cazeneuve si recò sul luogo insieme al presidente Hollande e al premier Manuel Valls. Tra le urla e la disperazione, un cittadino lo accusò gridandogli che quanto accaduto era colpa sua. “In quel momento – ha ricordato – capii che il mio compito era accettare la rabbia e continuare a governare la crisi”.
10 anni dopo il Bataclan: la ferita che la Francia non dimentica
Il ricordo più vivido, dice Cazeneuve, è l’immagine di una giovane donna che esce dal Bataclan con lo sguardo perso nel vuoto. Un simbolo della paura e dello smarrimento che avvolsero l’intera nazione.
Tra il 2015 e il 2016 la Francia visse una lunga stagione di attacchi: da Charlie Hebdo a Nizza, fino a Parigi.
Oggi, a dieci anni di distanza, la ferita non si è ancora rimarginata.
Le commemorazioni del 13 novembre non sono solo un esercizio di memoria, ma un monito contro l’indifferenza: ricordare significa continuare a difendere la libertà, l’obiettivo che i terroristi volevano distruggere quella notte di sangue a Parigi.




