Roma, 2 ottobre 2025 – Prosegue la complessa vicenda degli attivisti della Flotilla intercettati e fermati dalle forze israeliane mentre tentavano di raggiungere la Striscia di Gaza con l’obiettivo di rompere il blocco navale e consegnare aiuti umanitari alla popolazione palestinese. Nelle ultime ore, i circa 30 attivisti italiani, insieme ad altri membri degli equipaggi, sono stati trasferiti al porto israeliano di Ashdod e si trovano ora di fronte a due opzioni: firmare la documentazione per l’espulsione volontaria immediata o rifiutare, accettando così la detenzione in carcere in attesa del rimpatrio forzato.
Trasferimento ad Ashdod e opzioni per gli attivisti
L’operazione di intercettazione, avvenuta il primo ottobre a circa 70 miglia dalla costa di Gaza, ha visto un intervento prolungato con l’uso di idranti e abbordaggi da parte dell’esercito israeliano. Gli attivisti, tra cui figurano anche giornalisti come Alessandro Mantovani del Fatto Quotidiano, sono stati portati in Israele dove, una volta sbarcati ad Ashdod, saranno identificati e trattenuti in centri appositi.
Secondo quanto comunicato dalla Farnesina, gli attivisti possono scegliere tra due alternative: accettare l’espulsione volontaria con immediata partenza dall’aeroporto Ben Gurion, oppure rifiutare e subire la detenzione con successivo giudizio e rimpatrio forzato entro 48-72 ore. L’ambasciata italiana a Tel Aviv segue la situazione con attenzione, offrendo assistenza consolare e mantenendo contatti con il team legale che assiste la Flotilla. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha confermato che i primi rimpatri potrebbero già avvenire a partire da domani, venerdì 3 ottobre.
Rifiuto dell’espulsione da parte di alcuni attivisti e contesto internazionale
Non tutti gli attivisti hanno accettato di firmare i documenti di espulsione: almeno otto membri dell’equipaggio del veliero Madleen hanno rifiutato il rimpatrio volontario e sono stati posti in detenzione, in attesa di comparire davanti a un’autorità giudiziaria israeliana. Tra loro figurano cittadini di diversi paesi, mentre alcuni attivisti, come Greta Thunberg, hanno già lasciato Israele.
La detenzione degli attivisti è stata criticata da organizzazioni umanitarie e attivisti per i diritti, come l’ong Adalah e la Relatrice Onu Francesca Albanese, che hanno definito l’azione israeliana un’incursione illegale in acque internazionali. A livello diplomatico, Regno Unito e Francia hanno richiamato Israele al rispetto del diritto umanitario internazionale, sottolineando la necessità di gestire la situazione con moderazione e tutela dei diritti umani. Il presidente francese Emmanuel Macron ha reiterato l’appello a un cessate il fuoco e alla riapertura delle rotte umanitarie per Gaza.
La Global Sumud Flotilla, coalizione internazionale composta da oltre 50 imbarcazioni e migliaia di partecipanti da 44 paesi, si è posta come obiettivo quello di contrastare il blocco navale imposto da Israele e di portare aiuti vitali alla popolazione palestinese, colpita dalla grave crisi umanitaria. La nave Handala, che prende il nome dal celebre personaggio simbolo della resistenza palestinese creato dal vignettista Naji al-Ali, è solo l’ultima di una serie di imbarcazioni intercettate nel corso degli anni.
Il governo israeliano ha dichiarato che i passeggeri delle imbarcazioni saranno rimpatriati nei loro paesi d’origine e che gli aiuti a Gaza saranno inviati esclusivamente tramite i canali ufficiali. Nel frattempo, le autorità israeliane hanno predisposto misure di sicurezza nelle strutture carcerarie, come il carcere di Givon a Ramla, dove gli attivisti saranno trattenuti in celle separate e senza accesso a simboli filo-palestinesi o dispositivi elettronici.






