A marzo, la Siria ha vissuto una nuova e drammatica escalation di violenza, che ha colpito in modo particolare la minoranza alawita, concentrata soprattutto nelle province costiere di Latakia e Tartus. Le forze di sicurezza del nuovo governo di Damasco, guidato da Ahmed al-Sharaa, hanno condotto una violenta repressione contro l’insurrezione guidata da ex militari alawiti fedeli al regime di Bashar al-Assad (ex presidente deposto nel dicembre 2024 e attualmente rifugiato a Mosca), uccidendo 1400 persone tra cui numerosi civili. È stato aperto un processo per giudicare i responsabili di questi crimini.
Ma chi sono gli alawiti? E perché sono legati all’ex dittatore siriano?
Chi sono gli alawiti
Gli alawiti sono una popolazione di etnia araba e appartenente alla corrente sciita dell’Islam, quindi avversa alla maggioranza siriana, di corrente sunnita. Nel panorama politico della Siria moderna, gli alawiti hanno progressivamente assunto un ruolo dominante nonostante rappresentassero una minoranza numericamente limitata: prima della guerra civile erano circa 5–6 milioni, pari a circa il 20% della popolazione. La loro ascesa politica culminò nel 1970, quando Hafez al-Assad, ufficiale dell’aeronautica e membro del partito Ba‘ath, prese il potere con un colpo di Stato interno al regime. Da allora, il potere in Siria è rimasto nelle mani della famiglia Assad, con il figlio Bashar alla guida dal 2000.
Comprendere la presenza alawita nel sistema siriano significa andare oltre l’aspetto religioso: come spesso accade nel Medio Oriente islamico, identità confessionale e dinamiche politiche risultano profondamente intrecciate.
Origini dell’alawismo
La storia degli alawiti affonda le sue radici nel IX secolo, quando Muhammad Ibn Nusayr — probabilmente originario dell’area di Bassora — guidò una scissione rispetto allo sciismo duodecimano. La dottrina della nuova comunità, sin dall’inizio di carattere esoterico e settario, rielaborò la visione sciita attribuendo ad ʿAlī ibn Abī Ṭālib una natura divina e una manifestazione terrena di Allah superiore a quella dello stesso Profeta Maometto.
Il corpus dottrinale alawita si sviluppò attraverso testi mistici e insegnamenti attribuiti a figure come Husayn al-Khasibi, principale esponente della setta. Gran parte di questi contenuti rimase sconosciuta al mondo esterno fino al XIX secolo, quando il convertito al Cristianesimo Suleyman Effendi rese pubblici alcuni scritti fondamentali.
L’alawismo incorporò nel tempo elementi sincretici, anche cristiani: il concetto di una sorta di “Trinità”, la venerazione per Gesù e Maria e una simbologia iniziatica che accentuò il distacco dottrinale dall’islam sunnita e sciita tradizionale. È proprio questa natura sincretica a renderli spesso considerati “eretici” da una larga parte del mondo musulmano.
Durante il dominio ottomano, gli alawiti vissero prevalentemente nelle regioni montuose a est di Latakia e Tartus. La scelta dell’isolamento fu dettata dalle continue persecuzioni religiose: agli occhi dell’ortodossia sunnita gli alawiti erano considerati miscredenti, mentre una parte dello sciismo li guardava con sospetto.
I tentativi ottomani di assimilarli, come la costruzione di moschee nelle loro aree, fallirono sia per la loro resistenza a riformare il proprio credo sia per il limitato interesse imperiale verso territori economicamente poco redditizi. La marginalizzazione sociale ed economica delle comunità alawite durò fino alla caduta dell’impero.
Il mandato francese e la nascita dello Stato alawita
Con la fine della Prima guerra mondiale la Siria passò sotto mandato francese, avviando una fase cruciale per la storia politica degli alawiti. Parigi applicò la strategia del divide et impera, incentivando identità locali e divisioni confessionali per indebolire il nazionalismo arabo.
Nel 1922 venne istituito lo Stato Alawita, governatorato semi-autonomo con capitale Latakia. Per la prima volta gli alawiti ebbero accesso a cariche amministrative, scuole, tribunali gestiti da giudici della loro stessa comunità e opportunità economiche sostenute da fondi francesi.
La reintegrazione di questo territorio nella futura Repubblica Siriana nel 1936 non cancellò il processo di emancipazione avviato negli anni del mandato: da allora gli alawiti iniziarono a entrare stabilmente nelle forze armate, nella polizia e nell’apparato statale, rafforzando il loro peso politico dopo l’indipendenza del 1946.
Dall’indipendenza all’egemonia baathista
Nel dopoguerra, la marginalità storica degli alawiti rese la comunità particolarmente sensibile ai messaggi del baathismo, ideologia modernista, panaraba e anticoloniale che prometteva mobilità sociale e superamento dei confini settari. Numerosi ufficiali alawiti scalano i ranghi dell’esercito proprio grazie al partito Ba‘ath.
Dopo anni di crisi e lotte interne, nel 1970 Hafez al-Assad prese il potere e consolidò un sistema in cui la minoranza alawita, pur non essendo l’unica componente dell’apparato, occupava in modo schiacciante le posizioni più sensibili: oltre il 60% del cerchio ristretto del potere apparteneva alla comunità alawita.
Questa concentrazione di potere rifletteva, come osservato da diversi analisti, una caratteristica storica della comunità: un forte impulso alla sopravvivenza politica e un costante senso di vulnerabilità in un ambiente percepito come ostile.
Il riconoscimento sciita
Negli anni ’70 il regime cercò una legittimazione religiosa che lo ricollocasse all’interno del mondo islamico. La svolta arrivò nel 1973, quando l’imam sciita Musa al-Sadr riconobbe pubblicamente gli alawiti come parte integrante della comunità sciita musulmana, sottolineando una storia condivisa di persecuzioni.
Questa scelta ebbe implicazioni soprattutto politiche: segnò l’inizio di un’alleanza sempre più stretta tra Damasco e Teheran, destinata a consolidarsi dopo la Rivoluzione islamica del 1979. Da quel momento la Siria guidata dagli Assad divenne il fulcro occidentale della cosiddetta “mezzaluna sciita”, l’asse geopolitico che collega Iran, Iraq, Siria e Hezbollah in Libano.
Perché gli alawiti sono detestati da parte del mondo islamico
La diffidenza di molti musulmani sunniti verso gli alawiti nasce da due fattori principali:
- Dottrina religiosa non ortodossa
La mescolanza di elementi sciiti, esoterici e influenze cristiane fa percepire l’alawismo come deviante o addirittura politeista. Gruppi estremisti come al-Qaeda o ISIS li hanno spesso classificati come miscredenti o apostati, giustificando persecuzioni e violenze. - Ascesa politica violenta della famiglia Assad
Il monopolio del potere ottenuto dagli alawiti tramite il Ba‘ath e le successive repressioni — tra cui il massacro di Hama del 1982 — hanno alimentato un profondo risentimento tra la maggioranza sunnita, che spesso identifica l’intera comunità con il regime degli Assad.
Di conseguenza, la repressione dei rivoltosi alawiti da parte dell’esercito siriano (sunnita) è sfociato in violenze estese, prendendo di mira tutta la comunità alawita, ritenuta tutta colpevole di sostenere il governo di Assad deposto il dicembre scorso.






