La pressione fiscale è un argomento centrale nel dibattito politico italiano e spesso viene utilizzata come metro per valutare l’efficienza e l’equità del sistema tributario. Questo indicatore rappresenta infatti il rapporto tra le imposte e i contributi sociali versati dai cittadini e il Prodotto Interno Lordo (PIL), fornendo una misura della quota di reddito che lo Stato richiede per finanziare la spesa pubblica e i servizi sociali. In Italia, secondo i dati più recenti, la pressione fiscale si attesta al 42,8%.
Come si calcola la pressione fiscale
L’indicatore è definito dall’ISTAT come il rapporto tra le imposte e i contributi sociali rispetto al PIL. Al denominatore troviamo il PIL, ossia il valore complessivo di beni e servizi prodotti all’interno del Paese in un determinato periodo. Al numeratore, invece, sono considerati vari tipi di tributi: imposte dirette come IRPEF e IRES, imposte indirette come IVA e dazi doganali, imposte in conto capitale come le imposte di successione, e i contributi sociali obbligatori versati a enti pubblici o privati per finanziare prestazioni sociali, come INPS e INAIL.

È importante sottolineare che la pressione fiscale non aumenta solo in presenza di maggiori entrate. Durante fasi di recessione, per esempio, se il PIL diminuisce più delle entrate fiscali, l’indice può salire senza un reale incremento del carico tributario. Inoltre, un livello elevato di pressione fiscale spesso riflette un sistema di welfare avanzato, come nel caso di Svezia e Danimarca, noti per la loro ampia offerta di servizi sociali e sanitari efficienti.
Pressione fiscale e pressione tributaria
La pressione fiscale viene talvolta confusa con la pressione tributaria, ma i due concetti hanno significati economici differenti. La pressione tributaria misura la quota di reddito prelevata dallo Stato esclusivamente sotto forma di imposte dirette e indirette, e può essere calcolata a livello individuale, per specifiche categorie di contribuenti o per l’intero sistema economico. La pressione fiscale, invece, include anche i contributi sociali obbligatori, fornendo un quadro più completo del carico effettivo richiesto ai cittadini.
La formula della pressione fiscale in senso stretto può essere rappresentata come:
Pressione fiscale = (Tributi T + Contributi C) / Reddito Y
In questo modo si considera l’intero prelievo obbligatorio, comprensivo dei contributi sociali effettivi e figurativi, che possono essere assimilati a tributi forzosi.
La pressione finanziaria: un approccio più ampio
Un’ulteriore interpretazione economica è rappresentata dalla pressione finanziaria, che amplia il concetto includendo anche i proventi pubblici derivanti da prezzi e tariffe applicati ai servizi pubblici. In questo caso, la formula diventa:
Pressione finanziaria = (Tributi T + Contributi C + Proventi PT) / PIL Y
Questo indicatore consente di valutare in maniera più generale il peso complessivo dell’economia pubblica sul sistema economico nazionale, considerando tutti i proventi statali forzosi.
Progressività e regressività fiscale
La pressione fiscale varia in base al reddito del contribuente e alla politica fiscale adottata. In un sistema progressivo, l’aliquota aumenta con il crescere del reddito, mentre in un sistema regressivo accade l’opposto. Per esempio, in Italia, il passaggio dallo scaglione di reddito tra 15.000 e 28.000 euro allo scaglione successivo tra 28.000 e 55.000 euro comporta un incremento dell’aliquota IRPEF dal 27% al 38%, evidenziando la progressività del sistema.
La pressione fiscale può comunque aumentare anche a parità di reddito, ad esempio quando lo Stato introduce nuove imposte o innalza le aliquote esistenti, incidendo così sul carico tributario dei contribuenti senza variazioni del PIL.
Pressione fiscale effettiva e normale
Quando si parla di pressione fiscale effettiva, si considera il rapporto tra il carico fiscale reale sui contribuenti e il PIL depurato dall’economia sommersa, ossia l’evasione fiscale. Questo valore è generalmente più alto della pressione fiscale normale o statistica, calcolata invece sul PIL potenziale comprensivo dell’economia sommersa. La distinzione tra i due indicatori è fondamentale per comprendere il reale impatto della tassazione sui cittadini e sull’economia nazionale.
Effetti della pressione fiscale sull’economia
L’incremento della pressione fiscale ha diversi effetti sull’economia. Riducendo il reddito disponibile dei contribuenti, può frenare la domanda di mercato e contribuire a contenere l’inflazione dei prezzi. Allo stesso tempo, un carico fiscale maggiore consente allo Stato di aumentare il gettito fiscale e finanziare spese pubbliche, ridurre il debito o migliorare il saldo di bilancio.
Tuttavia, un eccesso di pressione fiscale può avere conseguenze negative: favorire l’evasione, ridurre i consumi e deprimere la capacità produttiva delle imprese, con effetti indiretti sul gettito fiscale stesso. Questo fenomeno è spiegato dalla curva di Laffer, secondo la quale oltre un certo livello di pressione fiscale, il gettito totale tende a diminuire a causa del calo dell’attività economica.
La pressione fiscale in Italia oggi
Negli ultimi anni, la pressione fiscale in Italia ha superato costantemente il 40% del PIL. Lo scorso anno, secondo i dati ISTAT, il rapporto tra imposte e PIL ha raggiunto il 42,6%, segnando un aumento di oltre un punto percentuale rispetto all’anno precedente. Questo incremento è stato determinato da un aumento più rapido delle entrate fiscali e contributive rispetto alla crescita del PIL.

Questo dato appare in contrasto con le promesse elettorali dei partiti di governo nel 2022, che si erano impegnati a ridurre il carico fiscale sui cittadini. Storicamente, il tema del tetto alla pressione fiscale è stato sollevato anche da figure politiche come Giorgia Meloni, che nel 2013 propose di inserire in Costituzione un limite del 40% sul rapporto tra imposte e PIL, definendo l’idea “geniale” per tutelare i cittadini da un fisco predatorio.
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