Ogni estate torna il solito luogo comune: gli studenti italiani farebbero troppa vacanza. Ma i dati europei raccontano tutta un’altra storia, tra carichi orari pesanti e calendari scolastici più lunghi della media.
Lunga pausa estiva, ma poche interruzioni nel resto dell’anno
In Italia le vacanze estive arrivano fino a 12 settimane, tra le più lunghe d’Europa. Ma questa è solo una parte del quadro. Secondo i report ufficiali di Eurydice, il nostro calendario scolastico è tra i più densamente distribuiti. Rispetto a molti Paesi europei, in Italia si va più giorni a scuola, anche se le vacanze estive sembrano far pensare il contrario. A parità di durata dell’anno scolastico, gli studenti italiani godono di meno pause intermedie: a differenza di altri Stati dove ci sono interruzioni autunnali, settimane bianche e lunghi ponti primaverili, da noi queste sono ridotte al minimo.
Nel confronto con altri Paesi europei, la Francia, ad esempio, ha vacanze estive più brevi, ma moltissime pause distribuite tra autunno, Natale, febbraio e Pasqua. Anche Germania, Paesi Bassi e Svizzera seguono una logica simile, con cicli scolastici più brevi e pause frequenti. Risultato? Il totale dei giorni scolastici è spesso inferiore rispetto all’Italia.
I dati ufficiali: in Italia si va più a scuola che altrove
Secondo i dati raccolti da Eurydice per l’anno scolastico 2022/2023, l’Italia è tra i Paesi europei con il maggior numero di giorni di scuola sia nella primaria che nella secondaria di primo grado. E questo nonostante la lunga chiusura estiva. Già nel 2019/2020, anno di riferimento per molte statistiche ufficiali, l’Italia registrava uno dei calendari scolastici più intensi, con pochi cambiamenti significativi negli anni successivi.
Anche il carico orario settimanale è elevato: tra lezioni mattutine e pomeridiane, molti studenti affrontano giornate lunghe e impegnative. Il mito del “più tempo libero per gli studenti italiani” si ridimensiona, quindi, se si osservano le ore effettive passate sui banchi e il numero totale di giorni di lezione.

Scuole d’estate? Il dibattito resta aperto, ma c’è un ostacolo strutturale
Ogni anno, in prossimità della chiusura scolastica a giugno, si riaccende la discussione: ha ancora senso tenere chiuse le scuole per tre mesi consecutivi? Alcuni politici, come il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, hanno ipotizzato un riutilizzo delle scuole d’estate, non per fare lezione, ma per proporre laboratori, corsi di orientamento, sport e lingue straniere. Tuttavia, alle intenzioni raramente seguono interventi concreti.
Un motivo è evidente: le scuole italiane non sono pronte per affrontare l’estate. Secondo dati ufficiali del ministero, oltre il 93,5% degli edifici scolastici italiani è privo di impianti di climatizzazione. Questo significa che migliaia di studenti e docenti si troverebbero a seguire o gestire attività in ambienti inadatti e potenzialmente pericolosi per la salute, soprattutto in presenza di ondate di calore sempre più frequenti.
Il tema è stato sollevato anche da docenti e associazioni, come il Coordinamento nazionale docenti per i diritti umani (Cnddu), che ha chiesto fondi per la climatizzazione e un piano nazionale di adeguamento climatico. Ma al momento, il problema rimane irrisolto.
Summer learning loss e disuguaglianze: cosa si rischia con tre mesi di stop
Un altro aspetto che viene spesso citato nel dibattito è quello del summer learning loss, ovvero la perdita di apprendimento che si verifica quando gli studenti restano lontani troppo a lungo dalla scuola. Secondo alcuni studi, il fenomeno è particolarmente evidente nei soggetti provenienti da contesti svantaggiati, dove l’estate si traduce in un periodo di inattività culturale e mancanza di stimoli educativi.
Lo ha spiegato Davide Azzolini, ricercatore della Fondazione Bruno Kessler, sottolineando che le disuguaglianze sociali si amplificano durante le vacanze, colpendo soprattutto i più fragili. A confermare questa tesi anche il progetto Arcipelago educativo, promosso da Save the Children e Fondazione Agnelli: gli studenti coinvolti in attività estive mirate hanno mantenuto o addirittura migliorato le proprie competenze rispetto a chi non vi ha partecipato.
Il vero rischio, quindi, non è tanto il tempo libero, ma l’accesso diseguale alle opportunità educative durante l’estate. I campi estivi privati, per quanto validi, non sono alla portata di tutte le famiglie e possono aumentare le disuguaglianze anziché ridurle.
Il vero problema non è il calendario, ma la scuola che non cambia
Alla luce dei dati, è chiaro che il numero di giorni di vacanza non corrisponde alla quantità di tempo libero effettivo. In Italia si va più giorni a scuola, ma le vacanze sono meno distribuite rispetto agli altri Paesi. Se l’obiettivo è migliorare l’efficacia del calendario scolastico, forse bisogna ripensare non solo la durata, ma la struttura dell’intero anno scolastico, adeguandolo ai nuovi ritmi sociali e climatici.
Nel frattempo, chi accusa gli studenti italiani di avere troppe vacanze farebbe bene a guardare i numeri: la realtà è più complessa di quanto sembri, e molto meno indulgente di quanto si pensi.






