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Unschooling, cos’è e come funziona in Italia

L’unschooling è approccio che parte da un presupposto: i bambini imparano naturalmente, senza bisogno di lezioni e voti

by Alessandro Bolzani
24 Novembre 2025
Un bambino intento a studiare

Un bambino intento a studiare | Pixabay @Александра - Alanews.it

Per comprendere cosa significhi davvero “istruire un figlio” oggi, bisogna partire da una storia concreta: quella della famiglia della provincia di Chieti che, negli ultimi giorni, ha riportato al centro dell’attenzione pubblica un tema spesso frainteso, l’istruzione parentale. La vicenda ha generato dibattiti e timori, ma soprattutto ha reso necessario chiarire un punto fondamentale: in Italia i genitori possono scegliere, nel pieno rispetto della legge, di educare i propri figli al di fuori della scuola tradizionale. Tra le possibili strade, ce n’è una che affascina e divide più delle altre: l’unschooling, un approccio educativo radicalmente diverso da quello scolastico.

Per capire cos’è e cosa prevede l’ordinamento italiano, è necessario partire dalle basi.

L’alternativa alla scuola

Nel nostro Paese l’educazione dei figli è prima di tutto una responsabilità familiare. Lo afferma l’articolo 30 della Costituzione, che riconosce ai genitori il diritto e il dovere di provvedere alla crescita e all’istruzione dei minori. Allo stesso tempo, l’articolo 34 ribadisce che l’istruzione obbligatoria deve essere assicurata, ma non impone che ciò avvenga necessariamente nelle aule scolastiche.

È proprio in questo spazio che nasce l’istruzione parentale, nota anche come homeschooling o scuola familiare: un modello in cui sono le famiglie, e non le istituzioni scolastiche, a organizzare il percorso formativo dei figli.

Per adottarlo, la procedura è chiara: ogni anno i genitori devono comunicare al dirigente scolastico della scuola più vicina la propria intenzione di provvedere autonomamente all’istruzione dei figli, dichiarando di possedere competenze e mezzi adeguati. Le autorità locali — in particolare il sindaco — hanno il compito di vigilare affinché l’obbligo scolastico venga assolto.

Gli studenti che non frequentano la scuola devono sostenere esami annuali di idoneità presso istituti statali o paritari. È qui che si verifica se nel corso dell’anno si siano realmente sviluppate conoscenze e competenze coerenti con le Indicazioni Nazionali, il documento che definisce l’orizzonte formativo verso cui tendono tutti i percorsi educativi della Repubblica.

Che cos’è l’unschooling: apprendere dalla vita

La famiglia di Palmoli ha scelto una forma specifica di istruzione parentale: l’unschooling, spesso tradotto come “non scuola”. Si tratta di un approccio che parte da un presupposto chiaro: i bambini imparano naturalmente, senza bisogno di lezioni, programmi o voti.

Nato negli anni Settanta grazie al pedagogista statunitense John Caldwell Holt, l’unschooling si fonda sull’idea che l’apprendimento emerga spontaneamente dal rapporto tra il bambino e il mondo, attraverso esperienze, curiosità e desiderio di esplorare. Il ruolo dei genitori cambia radicalmente: non sono insegnanti che impartiscono lezioni, ma facilitatori che creano contesti ricchi di stimoli e occasioni di scoperta.

Un bambino che usa un righello
Un bambino che usa un righello | Pixabay @sweetlouise – Alanews.it

Non esistono schede, verifiche o orari prestabiliti. Non si procede per materie, ma per interessi. Quando un bambino incontra un tema che lo affascina, l’indagine cresce a spirale: da un argomento si passa a un altro, e poi a un altro ancora, fino a coprire naturalmente aree del sapere che nella scuola tradizionale sarebbero separate in discipline.

È un percorso personalizzato che valorizza il ritmo e le inclinazioni individuali. E che, come dimostrano numerosi casi italiani, può condurre senza difficoltà anche a studi universitari o percorsi professionali.

Il quadro normativo: perché l’unschooling è pienamente legittimo

Molti si chiedono se un approccio così libero sia davvero compatibile con le leggi italiane. La risposta è sì.

L’unschooling non è una categoria distinta dal punto di vista amministrativo: rientra nell’istruzione parentale e quindi segue le stesse regole. Ciò che conta è che, al momento dell’esame annuale, la famiglia presenti un Progetto Didattico-Educativo, un documento che spiega come si intende assicurare un processo di apprendimento conforme alle Indicazioni Nazionali e alle otto competenze chiave definite dall’Unione Europea.

La verifica finale non deve misurare un programma predefinito — perché in Italia i “programmi ministeriali” non esistono più — ma deve accertare che l’annualità abbia prodotto un percorso educativo autentico, articolato e coerente.

Questo principio è stato ribadito anche dalla Corte di Cassazione nel 2023, che ha sottolineato come la scelta dell’istruzione parentale, se svolta secondo le norme, non possa in alcun modo costituire motivo per limitare la responsabilità genitoriale.

Perché l’unschooling può funzionare?

Gli unschooler, i ragazzi che seguono questo approccio, sviluppano un rapporto molto diverso con lo studio. Le conoscenze non vengono accumulate perché richieste da un docente, ma perché rispondono a un bisogno interiore. Questo porta con sé diversi vantaggi:

  • Memoria duratura: ciò che nasce da interesse personale non viene dimenticato facilmente;

  • Motivazione profonda: il piacere di imparare sostituisce l’obbligo;

  • Autonomia e autostima: scegliere cosa e come apprendere rafforza la fiducia nelle proprie capacità;

  • Competenze trasversali: vivere esperienze complesse e non strutturate favorisce interdisciplinarità e pensiero critico;

  • Socializzazione reale: la vita quotidiana, le attività all’aperto, gli incontri con esperti e con comunità diverse possono offrire forme di socializzazione più varie della classe tradizionale.

L’adulto rimane fondamentale, ma il suo intervento non è continuo né invasivo: è colui che osserva, suggerisce risorse, introduce opportunità e connette interessi spontanei con conoscenze più ampie.

L’unschooling nel sistema educativo contemporaneo

Il nostro sistema scolastico riconosce che oggi l’apprendimento non è confinato nelle aule. Lo afferma anche il Decreto 254/2012, secondo cui i bambini acquisiscono competenze in molti modi e non solo attraverso la didattica formale. La scuola, di conseguenza, non detiene più il monopolio del sapere.

Proprio per questo le linee guida ministeriali si sono spostate dai vecchi programmi rigidi alla nozione di “curricolo dello studente”, un percorso che può e deve essere personalizzato. L’unschooling si colloca perfettamente in questa prospettiva: è un modo, tra i tanti possibili, per raggiungere l’obiettivo costituzionale del pieno sviluppo della persona.

I numeri dell’homeschooling in Italia

L’interesse verso l’istruzione parentale è cresciuto in modo significativo negli ultimi anni. Secondo i dati del Ministero dell’Istruzione:

  • nell’anno scolastico 2018-2019 gli studenti in homeschooling erano 5.126;

  • nel 2020-2021 sono diventati 15.361.

La crescita riguarda soprattutto la scuola primaria, dove si è passati da poco più di duemila bambini a oltre diecimila. Le regioni più coinvolte si trovano al Nord, e le famiglie che scelgono questo percorso hanno solitamente uno o due figli.

All’interno di questo universo, l’unschooling rappresenta una minoranza ma è in costante espansione, sostenuto da reti di famiglie, associazioni e ricercatori che ne studiano le dinamiche e ne verificano gli esiti.

Tags: ApprofondimentoScuola

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