Vicenza, 18 settembre 2025 – Nell’ambito di un programma di scambio culturale con un liceo statunitense, due studentesse venete si sono trovate di fronte a una richiesta tanto inusuale quanto controversa: rendere pubblici tutti i profili social personali e familiari per poter trascorrere un anno di studi negli Stati Uniti. La notizia, inizialmente emersa in luglio, ha sollevato un acceso dibattito sulla privacy digitale e sulla sorveglianza online, un tema approfondito recentemente anche dal New York Times.
La richiesta alle due studentesse venete
Le due ragazze, di 14 e 16 anni, provenienti da una cittadina della provincia di Vicenza, hanno ricevuto una mail chiara e senza possibilità di appello: per ottenere il visto e vivere l’esperienza scolastica negli USA, era necessario “aprire” i loro profili su piattaforme come Facebook, Instagram e TikTok, e la stessa condizione è stata imposta anche ai genitori e ai familiari più stretti. La misura, motivata da ragioni di sicurezza e controllo, ha suscitato preoccupazione tra le famiglie, soprattutto per le implicazioni in termini di libertà individuale.
Sorveglianza digitale e opinioni politiche sotto controllo
Un articolo del New York Times, firmato dall’avvocatessa per i diritti civili Elizabeth Daniel Vasquez, ha messo in luce come negli Stati Uniti la sorveglianza digitale sia oggi capillare e in continua espansione. Contenuti che dovrebbero restare privati — come opinioni politiche e attività personali — sono infatti accessibili alle autorità senza particolari restrizioni legali. Questa situazione è aggravata da una crescente pressione sulle famiglie straniere che desiderano studiare negli USA, con tutor scolastici che ammoniscono di evitare qualsiasi commento politico per non mettere a rischio visto e percorso di studi.
Il diritto alla privacy, definito dal giudice della Corte Suprema Louis Brandeis come “diritto a essere lasciati in pace”, sembra così minacciato da nuove forme di controllo digitale, che rischiano di limitare non solo la libertà di espressione ma anche la serenità delle famiglie coinvolte.
Le storie delle studentesse venete non sono isolate: analoghe richieste sono pervenute ad altre famiglie italiane impegnate in scambi scolastici con gli Stati Uniti, confermando un trend preoccupante che sarà oggetto di ulteriori approfondimenti nei prossimi mesi.






