Milano, 24 settembre 2025 – Nel corso del processo d’appello presso la Corte d’Assise di Milano, i periti chiamati a valutare la capacità mentale di Alessia Pifferi, la donna condannata per l’abbandono che ha portato alla morte della figlia Diana, hanno confermato la sua piena capacità di intendere e di volere al momento del tragico evento. La 40enne, accusata di aver lasciato la figlia di appena 18 mesi sola per sei giorni nell’estate del 2022, è stata condannata all’ergastolo in primo grado, ma la sua difesa ha chiesto una nuova perizia psichiatrica, puntando sul presunto grave deficit cognitivo della donna.
La testimonianza degli esperti psichiatri in aula
Gli specialisti Giacomo Francesco Filippini, Nadia Bolognini e Stefano Benzoni hanno illustrato in aula i risultati delle valutazioni cliniche svolte durante i colloqui in carcere e tramite test specifici. È emerso un quadro di “disturbo del neurosviluppo con residua fragilità cognitiva” e “immaturità affettiva“, ma senza un’incidenza significativa sulla capacità di intendere e di volere della Pifferi. Il neuropsichiatra infantile Benzoni ha inoltre ipotizzato che, se la donna fosse stata valutata in età infantile, avrebbe potuto presentare un disturbo del neurosviluppo con disabilità intellettiva di grado lieve; tuttavia, la documentazione insufficiente non permette conferme definitive.
Il contesto e il grave deficit cognitivo: la perizia di primo grado
Nata a Milano nel 1985, Alessia Pifferi ha avuto un’infanzia segnata da abusi, trascuratezza familiare e difficoltà scolastiche, elementi che hanno contribuito a un quadro di fragilità emotiva e cognitiva. Nonostante ciò, la perizia del professor Elvezio Pirfo, incaricato dal Tribunale nel primo grado, ha evidenziato che il funzionamento adattivo nella vita quotidiana della donna non comprometteva la sua capacità di comprendere e controllare le proprie azioni. Il deficit cognitivo, pur riconosciuto, non è stato ritenuto sufficiente a escludere la responsabilità penale. La difesa ha portato in appello nuovi certificati medici attestanti la disabilità intellettiva, mentre sono stati sollevati dubbi sulla correttezza di alcuni test psicologici somministrati in carcere, ritenuti potenzialmente influenzati da fattori esterni.
L’abbandono mortale di Diana e le responsabilità accertate
Il caso ha scosso l’opinione pubblica: nel luglio 2022, Alessia Pifferi lasciò la figlia Diana sola per sei giorni nel suo appartamento di Ponte Lambro, Milano, durante i quali la bambina morì per fame e disidratazione. Durante l’interrogatorio, la donna dichiarò di non aspettarsi un esito così tragico e di aver lasciato biberon con latte e tè accanto alla piccola. Tuttavia, le indagini hanno evidenziato l’assenza di un’effettiva assistenza e la mancanza di contatti con una presunta baby-sitter. L’autopsia ha confermato che Diana morì tra il 18 e il 20 luglio 2022, trovata in condizioni di grave denutrizione e disidratazione.
Il dibattimento prosegue con l’approfondimento delle condizioni psichiche di Alessia Pifferi, mentre la sua difesa insiste sull’incidenza del deficit cognitivo nel valutare la sua imputabilità e la capacità di autodeterminazione al momento del reato.






