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Imam Shahin scarcerato in Appello: “Nessun rischio per la sicurezza”. Viminale pensa al ricorso

La Corte d’Appello di Torino annulla il trattenimento dell’imam, riconoscendo l’assenza di pericolosità e il rispetto dei diritti fondamentali. Solidarietà dalla comunità

by Marco Andreoli
15 Dicembre 2025

Torino, 15 dicembre 2025 – Mohamed Shahin è finalmente tornato in libertà e oggi rientra nella sua città di adozione, Torino, dove risiede da oltre vent’anni. La Corte d’Appello di Torino ha accolto il ricorso presentato dalla difesa, annullando immediatamente il trattenimento amministrativo dell’imam presso il Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) di Caltanissetta, in Sicilia, dove era detenuto da settimane. Questa decisione si fonda sul principio europeo secondo cui il trattenimento per i richiedenti protezione internazionale deve essere un’eccezione, non una regola, e deve rispettare i criteri di necessità e proporzionalità.

Le motivazioni della Corte e il rigetto delle accuse

Il giudice ha evidenziato come nel caso di Shahin, incensurato e noto per il suo impegno civile, siano emerse nuove circostanze che mettono in dubbio la legittimità della misura restrittiva. In particolare, è venuto meno il presupposto della pericolosità che aveva giustificato il trattenimento. Uno dei procedimenti penali a suo carico è stato archiviato dalla procura di Torino, mentre le dichiarazioni da lui rilasciate durante una manifestazione del 7 ottobre 2023 sono state riconosciute come espressione del diritto di opinione, tutelato dalla Costituzione italiana e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La Corte ha sottolineato che la valutazione etica o morale delle affermazioni non può influenzare la valutazione della pericolosità in uno Stato di diritto.

Anche un secondo procedimento a suo carico non ha evidenziato condotte violente o elementi di pericolosità attuale. Mohamed Shahin, impegnato nella promozione della Costituzione italiana all’interno della comunità islamica torinese, è riconosciuto come un punto di riferimento per il dialogo interreligioso nel quartiere San Salvario.

Il decreto di espulsione dell’imam di Torino

L’imam era stato destinatario di un decreto di espulsione firmato dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, provvedimento rimasto secretato e al centro di un acceso dibattito parlamentare. La revoca del permesso di soggiorno europeo di lunga durata era stata motivata da un presunto profilo di pericolosità sociale e “appartenenza a un’ideologia estremista”, accuse contestate da Shahin e dalla sua difesa, che hanno evidenziato la strumentalizzazione politica del caso.

Il deputato Marco Grimaldi di Alleanza Verdi e Sinistra ha criticato duramente la gestione del caso da parte del centrodestra, accusando Piantedosi di aver utilizzato la sicurezza nazionale come strumento politico. Anche esponenti locali, come la capogruppo regionale Alice Ravinale e i consiglieri comunali Sara Diena ed Emanuele Busconi, hanno chiesto al governo di ritirare il decreto di espulsione e di porre fine a una vicenda che ha causato danni umani e civili significativi.

Le reazioni politiche e sociali alla scarcerazione

La scarcerazione di Mohamed Shahin ha suscitato immediate reazioni da parte della politica e della società civile. Il vicepremier e leader della Lega, Matteo Salvini, ha definito la decisione un’“ennesima invasione di campo di certa magistratura ideologizzata e politicizzata”, denunciando un tentativo di sostituirsi alla politica da parte dei tribunali. Salvini ha espresso la sua fiducia nel referendum sulla riforma della giustizia, in programma a marzo 2026, che, a suo avviso, rappresenta un’occasione per contrastare quella che definisce “ideologia” in ambito giudiziario. Ha inoltre sottolineato la necessità di introdurre la responsabilità civile dei magistrati, per tutelare i cittadini da errori giudiziari.

Anche esponenti di centrodestra, come la senatrice Mariastella Gelmini di Noi Moderati, hanno commentato la decisione definendola “incomprensibile e pericolosa”, ribadendo che non vi sia spazio in Italia per chi professa odio e minaccia la sicurezza nazionale. Simili sono state le parole di Forza Italia a Torino, con il senatore Roberto Rosso e Marco Fontana che hanno espresso sconcerto, sottolineando come la scarcerazione possa inviare un messaggio pericoloso, soprattutto in un momento segnato da episodi di violenza e tensioni legate a manifestazioni Pro Palestina.

La decisione della Corte d’appello di Torino che ha disposto la scarcerazione dell’imam  non è stata accolta favorevolmente neanche dal Ministero dell’Interno. Gli uffici del Viminale stanno infatti valutando la possibilità di presentare ricorso contro questa sentenza.

In netto contrasto con queste posizioni, la Cgil di Torino ha accolto con favore la liberazione di Shahin, definendola una vittoria per la comunità e per lo Stato di diritto. Il sindacato ha ribadito che l’imam non rappresenta un pericolo, sottolineando che le frasi contestate rientrano nella libertà di espressione garantita dall’articolo 21 della Costituzione italiana. La Cgil ha inoltre ringraziato i sostenitori dell’imam e il collegio difensivo per il lavoro svolto.

Liberazione dell’imam: contesto della vicenda e le mobilitazioni a Torino

L’imam Mohamed Shahin è un cittadino egiziano residente in Italia da 21 anni, sposato e padre di due figli nati a Torino. È attivo nel quartiere di San Salvario, dove la sua figura è nota per l’impegno nel dialogo interreligioso e nella lotta allo spaccio di droga. Le espressioni oggetto di contestazione sono state pronunciate durante manifestazioni di solidarietà alla Palestina, e in particolare una frase riferita al pogrom del 7 ottobre 2023, che aveva suscitato ampia polemica.

Il trasferimento di Shahin al Cpr di Caltanissetta aveva innescato una serie di mobilitazioni pubbliche a Torino: fiaccolate, presidi e assemblee hanno coinvolto cittadini e associazioni che ne hanno chiesto la liberazione e la tutela, temendo per la sua incolumità in caso di rimpatrio in Egitto. Diverse organizzazioni per i diritti umani, tra cui Amnesty International e A Buon Diritto, avevano denunciato le condizioni procedurali del caso, evidenziando i rischi di tortura e maltrattamenti che Shahin potrebbe subire nel suo paese d’origine, dove sono documentate pratiche di detenzione arbitraria e processi iniqui.

Tags: Imam ShahinTorino

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