Garlasco, 28 novembre 2025 – Il ministro della Giustizia Carlo Nordio torna a esprimersi sul controverso delitto di Garlasco, sottolineando dubbi significativi sulla condanna definitiva di Alberto Stasi. Il caso, che ha acceso i riflettori sulla giustizia italiana per quasi due decenni, continua a dividere esperti, istituzioni e opinione pubblica.
Nordio contro la condanna a Stasi: il principio dell’“oltre ogni ragionevole dubbio”
Durante un dibattito a Bologna sugli Stati generali della ripartenza, Nordio ha definito la condanna di Stasi un “vizio di origine”, evidenziando come la sentenza non abbia superato il criterio della “oltre ogni ragionevole dubbio”, principio cardine del nostro ordinamento giuridico. Il ministro ha ricordato che Stasi fu assolto in primo grado e in appello, per poi essere condannato solo a seguito di una sentenza della Cassazione e di un ulteriore processo d’appello bis.
Secondo Nordio, “come si può condannare una persona quando due diversi gradi di giudizio hanno espresso riserve fino ad assolverla, senza rifare un processo ex novo come prevedono i sistemi anglosassoni?” Il guardasigilli ha dunque sollevato il dubbio che o i giudici delle Corti d’Assise siano stati irragionevoli o che esista un problema strutturale nel sistema giudiziario italiano.
La vicenda di Alberto Stasi e le criticità investigative
Il delitto di Garlasco, avvenuto il 13 agosto 2007, vide vittima Chiara Poggi, trovata senza vita nella sua abitazione. Alberto Stasi, fidanzato della vittima, fu unico indagato e alla fine condannato in via definitiva a 16 anni di reclusione, ma la sentenza è stata da sempre accompagnata da polemiche legate a incongruenze nelle prove e nelle indagini.
Le difficoltà investigative, tra cui la mancata protezione della scena del crimine e una perizia incerta sull’ora del delitto, hanno alimentato dubbi sull’impianto accusatorio. Recentemente, Stasi ha ottenuto la semilibertà, riconosciuta dalla Cassazione come parte di un percorso di risocializzazione, nonostante permangano alcune “criticità personologiche” evidenziate dagli operatori penitenziari.





