Sono atterrati poco prima di mezzanotte all’aeroporto di Fiumicino i 18 italiani della Global Sumud Flotilla, rilasciati dalle autorità israeliane dopo giorni di detenzione. Il gruppo, composto da attivisti e giornalisti, era partito da Eilat su un volo charter della Turkish Airlines diretto a Istanbul e da lì trasferito su due aerei per Roma e Milano, con l’assistenza del Consolato italiano in Turchia. Altri 15 connazionali, che hanno rifiutato di firmare il modulo di “rilascio volontario”, rimangono invece in Israele e dovranno attendere l’espulsione per via giudiziaria, prevista nei prossimi giorni.
I 18 rimpatriati della Flotilla: cori, abbracci e bandiere palestinesi
Ad accogliere il gruppo a Fiumicino, oltre duecento persone tra familiari, amici e colleghi. Cori, applausi e bandiere palestinesi hanno scandito il ritorno a casa degli attivisti, molti in lacrime.
È stato srotolato uno striscione con la scritta: “Non si può fermare il vento – Palestina libera”.
Tra i presenti anche rappresentanti sindacali della Cub Trasporti, che hanno sostenuto l’iniziativa della Flotilla.
“Siamo stati trattati come terroristi”
Uno dei rientrati, Cesare Tofani, ha raccontato ai cronisti la durezza della detenzione: “Ci hanno trattato come trattano i terroristi e i palestinesi. Cibo scarso, acqua del rubinetto, condizioni pessime. Il console è riuscito a restare con noi solo 15 minuti”.
Tofani ha descritto “giorni di umiliazioni”, con i detenuti costretti in celle sovraffollate, assistenza medica minima e interrogatori continui.
Gli italiani della Flotilla: “Abbiamo capito cosa vivono i palestinesi”
Un altro partecipante, Paolo De Montis, ha raccontato la sua esperienza definendola “massacrante”: “Le ore nelle carceri israeliane ci hanno distrutto. Abbiamo capito cosa possono aver fatto ai palestinesi. Le donne erano in 15 in una cella da 4, noi in 10 in una da 7, con un solo rotolo di carta igienica e senza acqua”.
Con addosso una maglietta bianca e in mano un mazzo di fiori, De Montis è stato accolto con calore dai colleghi sindacalisti al suo arrivo a Roma.
L’appello: “Dobbiamo riportare a casa gli altri”
Anche Michele Saponara, tra i rimpatriati, ha espresso preoccupazione per i connazionali ancora trattenuti: “È stata dura, ma non quanto lo è per i gazawi ogni giorno. Dobbiamo continuare a lottare per riportare a casa i nostri compagni. È la priorità”.
Ha poi aggiunto: “Le cose devono cambiare. Non possiamo accettare che tutto questo resti impunito”.
Il racconto del giornalista Saverio Tommasi sulla Flotilla
Il giornalista Saverio Tommasi ha descritto su toni durissimi le condizioni di detenzione: “Hanno tolto le medicine a tutti, anche a un signore di 86 anni. L’acqua era calda e dal sapore rancido, il cibo pochissimo. Nessun medico è mai arrivato”.
Tommasi ha aggiunto che gli sono state sequestrate le attrezzature e il materiale giornalistico, ma che parte del lavoro era stato salvato in precedenza.
“Io e Paolo Romano, del mio equipaggio, abbiamo subito violenza fisica e verbale”, ha denunciato Tommasi. Il giornalista ha raccontato di essere stato colpito ripetutamente alla schiena e alla testa, oltre a subire gravi privazioni psicologiche. “Eravamo trattati come le vecchie scimmie dei peggiori circhi degli anni Venti: c’erano dei comandi che dovevamo rispettare”, ha aggiunto.
“Mi hanno strappato le fedi nuziali dalle dita. Le ho riavute solo dopo una lunga discussione con il giudice. E ho visto Greta Thunberg all’interno del porto, con le mani legate e una bandiera israeliana accanto, come in una derisione”.
Parlando del rientro in Italia, il giornalista ha precisato: “Non so chi lo abbia pagato, ma so che non lo ha pagato l’ambasciata italiana. Io non ho pagato. C’erano delle disponibilità”.






