Achille Costacurta, figlio dell’ex calciatore Billy Costacurta e di Martina Colombari, ha raccontato la sua difficile storia nel corso della nuova puntata del podcast One More Time, condotto da Luca Casadei. A 21 anni, Achille condivide il suo difficile percorso di crescita, segnato da momenti estremi di sofferenza, dipendenza e una diagnosi tardiva di ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività), rivelandosi un esempio di lotta e rinascita.
Achille Costacurta a One More Time: la dipendenza e il TSO
Achille racconta con sincerità l’inizio precoce dell’uso di sostanze: “Ho iniziato a fumare a 13 anni, a 18 ho provato la mescalina”. Il suo racconto si fa drammatico quando descrive l’episodio con la polizia, culminato nel primo Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO): “Me ne hanno fatti sette in totale. Quando ero a Padova il personale era gentile, a Milano invece sono stato legato al letto per tre giorni dopo aver colpito un operatore. Urlavo che avevo bisogno del pappagallo, ma ero immobilizzato mani e piedi e mi sono fatto la pipì addosso”.
Queste esperienze, spesso traumatiche, si contrappongono all’approccio più umano incontrato durante la sua cura in Svizzera, dove il giovane ha trovato un ambiente di supporto e comprensione. “Mi hanno detto che se fossi rimasto fuori altri dieci giorni sarei morto, con il cuore che batteva a 150. In Svizzera ti offrono la scelta: puoi continuare a drogarti o chiedere aiuto. Grazie a loro oggi non uso più sostanze” spiega Achille, sottolineando come questo cambiamento sia stato fondamentale per la sua vita.
Il tentativo di suicidio e il dolore della famiglia
Un episodio particolarmente toccante è quello del tentativo di suicidio a 15 anni e mezzo, quando Achille si trovava in comunità terapeutica dopo un arresto legato allo spaccio di droga durante il lockdown. “Ho preso tutto il metadone che c’era, sette boccettine, una dose equivalente a decine di grammi di eroina. Nessuno sa come sono ancora vivo” racconta con amarezza.
Il racconto si fa ancora più intimo nel descrivere la reazione dei genitori: “Mia madre ha pianto tanto. Mio padre l’ho visto piangere solo in quel momento, quando mi hanno portato via. Chiedevo di fare l’eutanasia ogni giorno perché non avevo più emozioni e volevo morire. Vederlo piangere è stato straziante“.
Il riscatto e la nuova missione di vita
La svolta arriva grazie al supporto terapeutico e all’ambiente accogliente della Svizzera: “Mi hanno fatto capire cosa conta davvero nella vita”. Il ricordo del giorno della sua uscita dalla clinica è intenso, segnato da un doppio arcobaleno e da un abbraccio con il padre che simboleggia la sua rinascita.
Oggi Achille ha scelto di dedicare la sua energia a progetti di inclusione sociale: “Voglio creare centri per ragazzi con sindrome di Down e altre difficoltà, utilizzando ippoterapia, animali e mare. Desidero regalare a loro le emozioni che ho scoperto tardi nella vita”. La sua esperienza personale si trasforma così in un potente motore di solidarietà e speranza, un messaggio forte rivolto a chi affronta le proprie battaglie interiori.


