Federico Bernardeschi è tornato in Italia dopo un triennio trascorso nella MLS (Major League Soccer), un periodo che ha rappresentato una “grande esperienza” a Toronto. Ospite al podcast “The BSMT” di Gianluca Gazzoli, l’attaccante, ritornato nella “madre patria” da circa un mese e mezzo, ha condiviso riflessioni profonde sulla sua carriera, dai grandi sacrifici familiari all’evoluzione del calcio moderno, fino alla gestione della pressione mediatica e della salute mentale.
Federico Bernardeschi, ritorno alla bellezza e i veri Eroi
Il richiamo di casa si è fatto sentire. Federico Bernardeschi ha ritrovato con piacere la “bellezza che ha l’Italia“. Il calciatore del Bologna descrive Roma come la città “più bella del mondo“, e riflette su come gli italiani stessi sottovalutino la propria storia e il fascino di luoghi come Venezia, che per uno straniero appaiono quasi irreali.
Ripercorrendo le sue origini, Bernardeschi ha onorato gli sforzi fatti dai suoi genitori, due operai, che sin dagli otto anni lo accompagnavano avanti e indietro da Carrara a Empoli e Firenze, tre o quattro volte a settimana. Il campione d’Europa in maglia azzurra definisce il loro un “compromesso” per permettergli di inseguire il suo sogno. I suoi veri eroi, afferma, sono i genitori che fanno lo stesso percorso ma i cui figli non arrivano al successo, perché la realizzazione del sogno non è garantita.

Le polemiche sul pantacollant e le “accuse” di essere gay
“Mi mettevo la gonna e dicevano che ero gay. Ma anche lo fossi secondo te non lo direi, che problema ci sarebbe? Anzi, ne andrei fiero, e chapeau a chi fatto coming out“. Federico Bernardeschi si racconta in una lunga conversazione di due ore che va oltre il calcio. Si parla della scelta di approdare al Bologna “anche pensando al Mondiale“, ma anche di passato, di ferite chiuse e altre ancora aperte, in un mondo calcistico capace di essere duro nei giudizi e nei pregiudizi.
Il fantasista ricorda i tempi della Fiorentina e gli attacchi subiti: “Adesso ci rido sopra, ma allora avevo vent’anni e mi hanno fatto soffrire. Entravo in spogliatoio con la gonna, e mi hanno detto e scritto di tutto, perfino sui giornali. Ma se mi piaceva, la indossavo: non capisco quale fosse il problema“. Un’esperienza personale che diventa messaggio: “Bisogna capire che ognuno deve essere libero di fare ciò che vuole. E chiedersi: davvero conta così tanto l’opinione degli altri? Se faccio soffrire la mia famiglia è diverso, ma ciò che dice la gente non dovrebbe mai avere peso“.
Differenze Tattiche e l’MLS
L’esperienza in MLS ha permesso a Bernardeschi di notare le differenze tra il calcio americano e quello europeo. La Serie A è definita come il campionato “più tattico che ci sia“. Negli USA, invece, lo sport è vissuto principalmente come “intrattenimento live,” con famiglie che vanno allo stadio per godersi lo spettacolo. L’MLS, paragonata all’NBA, è meno tattica e più focalizzata sull’aspetto fisico, risultando in un “attacco contro difesa“.
Bernardeschi crede che il Mondiale 2026, visto l’interesse crescente (come dimostrato dall’arrivo di Messi a Miami), rappresenterà un “Turning Point” cruciale per l’espansione del calcio americano.
Pressione e l’Eredità di CR7
Riguardo al suo controverso passaggio dalla Fiorentina alla Juventus, un momento “pesante” vissuto a 23 anni, Bernardeschi accetta le critiche, consapevole delle responsabilità delle sue scelte. Ha dovuto imparare a gestire anche momenti difficili con la stampa, sottolineando che durante le conferenze stampa è fondamentale “saper non rispondere rispondendo” per non lasciare “libera interpretazione” di ciò che si dice.
Parlando di Cristiano Ronaldo, Bernardeschi lo definisce “un uomo straordinario” e di “un’umiltà pazzesca“. Riconoscendo il talento quasi divino di Messi, ritiene che Cristiano Ronaldo abbia avuto un impatto più grande: ha “cambiato il calcio e lo sport in generale“. Cristiano è l’esempio che ha reso i giocatori moderni dei professionisti, attenti alla cura del corpo e all’allenamento.
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Crescita personale e consapevolezza per Bernardeschi: “Rischiamo la giocata”
Bernardeschi non nasconde le difficoltà, inclusa la sofferenza derivante dal non performare con la Juventus. La celebre frase “rischiamo la giocata“, nata da una polemica, è stata intelligentemente trasformata nel suo “inno“, dimostrando grande autoironia. Ha rivelato di aver intrapreso un percorso di auto-aiuto (terapia) tre anni prima. Questo percorso lo ha aiutato a comprendere le radici dei suoi problemi e a reagire meglio alle avversità, una consapevolezza che si riflette nel suo atteggiamento attuale.
La sua nuova “missione” è ora a Bologna, dove è stato “accolto benissimo” e dove è tornato a vestire la maglia numero 10. Uno dei suoi obiettivi è tornare a giocare il Mondiale, un traguardo che gli manca. Bernardeschi crede fermamente che i personaggi pubblici abbiano la responsabilità di trasmettere “valori sani” e principi positivi, soprattutto ai bambini.






