Nuovo episodio di violenza in Cisgiordania. Un gruppo di coloni israeliani ha incendiato una moschea nel villaggio palestinese di Kifl Hares, nei pressi della colonia di Ariel, una delle più grandi dell’area. Le fiamme hanno causato gravi danni all’edificio di culto, distruggendo parte della struttura interna e numerose copie del Corano. Sui muri esterni sono comparse scritte minacciose dirette al generale Avi Blot, capo del Comando centrale dell’esercito israeliano (IDF), responsabile delle operazioni in Cisgiordania. Gli autori del gesto, secondo fonti locali, sarebbero fuggiti prima dell’arrivo delle forze di sicurezza israeliane.
Le reazioni internazionali all’attacco dei coloni israeliani
L’episodio ha suscitato preoccupazione a livello internazionale, soprattutto negli Stati Uniti, dove l’amministrazione Trump segue con attenzione l’evolversi della situazione nei Territori. Il segretario di Stato Marco Rubio, a margine del G7 in Canada, ha dichiarato che “c’è una certa preoccupazione che gli eventi in Cisgiordania possano avere ripercussioni tali da compromettere ciò che stiamo facendo a Gaza”. Ma chi sono i coloni israeliani? E quali sono i loro obiettivi?
Chi sono davvero i coloni israeliani
Sono circa settecentomila i coloni israeliani che vivono oggi nei territori occupati dopo la guerra del 1967: Cisgiordania e Gerusalemme Est. Per Israele rappresentano un’espansione naturale della propria patria storica, per la comunità internazionale invece una violazione del diritto internazionale e un ostacolo alla soluzione dei due Stati. La loro presenza, cresciuta costantemente negli ultimi trent’anni, è tornata prepotentemente al centro del dibattito politico e diplomatico, in un momento in cui la violenza nei Territori si è fatta quotidiana.

Dietro la definizione di “coloni israeliani” si nasconde un mosaico complesso di comunità, mentalità e motivazioni. Non si tratta di un blocco monolitico: al contrario, è un microcosmo variegato che riflette l’intera società israeliana. I religiosi-ideologici vedono la Cisgiordania come la Giudea e Samaria biblica, cuore spirituale e identitario della nazione ebraica. Vivere lì, per loro, è un atto di fede e di patriottismo. I coloni economici, spesso laici, si sono trasferiti negli insediamenti per ragioni pratiche: case più economiche, agevolazioni fiscali, scuole e infrastrutture moderne. Gli ultraortodossi, infine, scelgono questi luoghi per creare comunità chiuse e omogenee, lontane dalle grandi città e più adatte al loro stile di vita religioso. In molti insediamenti convivono queste anime differenti, unite però da una convinzione di fondo: la legittimità della loro presenza nei territori contesi.
L’obiettivo politico dei coloni israeliani: annessione e riconoscimento
Sul piano politico il movimento dei coloni ha un’agenda chiara e potente. Le sue principali richieste sono due: l’annessione formale della Cisgiordania a Israele e la legalizzazione degli insediamenti. I coloni più radicali considerano quel territorio parte integrante dello Stato ebraico, rifiutano la nascita di uno Stato palestinese e chiedono che Israele eserciti piena sovranità sull’area. Anche le fazioni più moderate spingono per la regolarizzazione degli avamposti non autorizzati e per nuovi collegamenti infrastrutturali con Israele, consolidando una presenza che rende sempre più difficile una futura separazione territoriale.
Un potere crescente nella politica israeliana
Negli ultimi vent’anni i coloni sono diventati una forza politica determinante. I partiti nazional-religiosi e di estrema destra, che rappresentano gran parte del movimento, siedono oggi al governo e hanno un’influenza diretta sulle decisioni strategiche del Paese. Molti ministri e parlamentari, incluso il leader di Religious Zionism Bezalel Smotrich, provengono dagli insediamenti. L’esercito israeliano protegge le comunità dei coloni e, di fatto, controlla gran parte del territorio palestinese circostante. Gli scontri con la popolazione locale sono frequenti e gli episodi di violenza reciproca, tra attacchi palestinesi e rappresaglie di coloni, sono diventati una drammatica routine nella Cisgiordania del 2025.
Il nodo del diritto internazionale
La Quarta Convenzione di Ginevra è chiara: una potenza occupante non può trasferire la propria popolazione civile nei territori occupati. Per questo la comunità internazionale considera illegali gli insediamenti israeliani. Israele contesta questa interpretazione, sostenendo che la Cisgiordania non apparteneva a nessuno Stato riconosciuto prima del 1967 e che la presenza ebraica in quelle terre ha radici storiche e religiose profonde. Ogni nuova costruzione o espansione diventa così un atto politico, che allontana sempre di più la prospettiva di uno Stato palestinese indipendente.
Un ostacolo alla pace, ma anche una realtà consolidata
Per la comunità internazionale i coloni rappresentano il principale ostacolo alla pace: frammentano il territorio palestinese, impediscono la continuità geografica di un futuro Stato e alimentano tensioni quotidiane. Per molti israeliani, invece, sono pionieri moderni, cittadini che difendono la sicurezza del Paese e il diritto biblico alla propria terra. A più di cinquant’anni dal primo insediamento, il movimento dei coloni non è più un fenomeno marginale ma una realtà radicata, capace di orientare la politica e di condizionare il futuro di tutto il Medio Oriente.






