La difesa di Andrea Sempio è pronta a rimettere mano al mosaico di impronte che, da quasi due decenni, accompagna il caso dell’omicidio di Chiara Poggi. Dopo la consulenza disposta dalla Procura di Pavia, i legali del 37enne puntano a un esame di parte che rimetta in discussione la lettura della famigerata “papillare 33” e degli altri frammenti raccolti sulla scena del crimine.
La mossa della difesa
Gli avvocati Angela Taccia e Massimo Lovati hanno avviato colloqui con i pubblici ministeri per ottenere tutte le fotografie e i documenti tecnici necessari a un contro-esame. A guidare l’operazione è il generale in congedo dei Ris Luciano Garofano, incaricato di selezionare un pool di esperti dattiloscopici che affiancherà Sempio nell’imminente battaglia peritale.
La “papillare 33” al centro del dibattito
Cuore della nuova offensiva è l’impronta individuata sul muro delle scale che scendono al seminterrato, a pochi centimetri dal corpo di Chiara. Gli esperti nominati dalla Procura, Gianpaolo Iuliano (Ris Carabinieri) e Nicola Caprioli (dattiloscopista forense), hanno attribuito quel segno di palmo – classificato come “papillare 33” – proprio a Sempio, grazie alla corrispondenza di 15 minuzie dattiloscopiche. Nel 2007 la stessa traccia era stata catalogata come “non utile” e priva di sangue: un dettaglio che adesso la difesa vuole riesaminare punto per punto.
Settantotto frammenti, otto impronte “utili”
La consulenza dei pm ha passato al setaccio 78 frammenti digitali: di questi, soltanto otto sono stati giudicati idonei a un’identificazione piena. Oltre alla “papillare 33”, una seconda impronta – lasciata dal mignolo sinistro su uno dei cartoni della pizza consumata la sera precedente l’omicidio – è stata attribuita ad Alberto Stasi. Tre segni sui cartoni restano senza paternità, mentre altri tre, rinvenuti sulla porta del tinello, portano la firma di un falegname che stava lavorando in casa Poggi all’epoca dei fatti.
Le tracce senza nome
Rimangono undici impronte orfane di un’identità: sei sulle scale, cinque sulla porta d’ingresso. La numero 10, quella di una presunta “mano sporca” forse lasciata nell’attimo della fuga, è tra le più discusse. Non appartiene né a Sempio, né a Stasi, né alle gemelle Cappa o agli altri amici di Marco Poggi: un enigma che, secondo i carabinieri, potrebbe celare il vero autore del delitto.
Verso una perizia terza?
La relazione di 60 pagine approdata sul tavolo degli avvocati offre ora alla difesa di Sempio la chance di produrre valutazioni autonome e – se necessario – chiedere al gip un incidente probatorio con perizia “terza”, replicando il modello già avviato sulle tracce genetiche. Un nuovo capitolo che potrebbe ridefinire, ancora una volta, la storica inchiesta di Garlasco.






