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Chi era Nicola Pietrangeli? La carriera della leggenda del tennis

Non è stato soltanto il più grande tennista italiano del Novecento, ma ha rappresentato anche una figura irripetibile per storia personale e fascino.

by Alessandro Bolzani
1 Dicembre 2025
Nicola Pietrangeli nel 1961

Nicola Pietrangeli nel 1961 | Ansa/Olpix - Alanews.it

Nicola Pietrangeli non è stato soltanto il più grande tennista italiano del Novecento, ma ha rappresentato anche una figura irripetibile per storia personale e fascino.

Nato a Tunisi l’11 settembre 1933, crebbe in un ambiente internazionale: parlò francese fin da bambino e scrisse in cirillico grazie alle origini russo-danesi della madre, Anna. Il padre Giulio, imprenditore attivo in Nord Africa, alla fine della guerra trasferì la famiglia a Roma, dove divenne licenziatario italiano di un noto marchio sportivo.

Nella capitale il giovane Nicola sognò il calcio — la Lazio rimase per sempre la sua squadra — ma quando gli proposero un passaggio alla Viterbese scelse il tennis, disciplina che il padre praticava a livello amatoriale. Erano gli anni del dominio degli australiani Hoad, Fraser e Laver e dei fuoriclasse americani Seixas e Trabert, ma il ragazzo cresciuto tra Tunisi e Roma riuscì comunque a ritagliarsi spazio fra i migliori di un’epoca irripetibile.

L’ascesa al vertice mondiale di Nicola Pietrangeli

Fin dagli anni Cinquanta Pietrangeli brillò sulla terra battuta, una delle due superfici principali dell’epoca insieme all’erba. Tra il 1959 e il 1961 si impose come uno dei più forti al mondo: giocò con anticipo naturale, sfoggiò un rovescio elegante che apriva gli angoli e mostrò una sensibilità di tocco che lo rese maestro nella palla corta.

La consacrazione arrivò con le vittorie al Roland Garros del 1959 e del 1960. L’anno seguente, pur tornando a Parigi con ambizioni altissime, perse la finale dopo una breve andata e ritorno a Roma per assistere alla nascita del figlio Marco: il viaggio lo stremò e in finale cedette a Manuel Santana, destinato a diventare suo grande amico. Nel 1960 rifiutò anche un’offerta di 60mila dollari per passare al professionismo, scosso dall’emozione dei Giochi Olimpici di Roma e deciso a restare tra i dilettanti.

Il suo decennio d’oro si arricchì di imprese memorabili: vinse gli Internazionali d’Italia del 1957 e del 1961 — emblematico il trionfo a Torino, quando rimontò Rod Laver lasciandogli appena quattro game negli ultimi tre set — raggiunse due finali di Coppa Davis nel 1960 e 1961 insieme al compagno inseparabile Orlando Sirola e conquistò tre titoli a Montecarlo.

Il personaggio oltre lo sport

Con il suo fascino naturale, gli occhi azzurri e un carisma quasi cinematografico, Pietrangeli divenne presto uno dei volti della Dolce Vita. Montecarlo, però, rappresentò la sua seconda casa: lì strinse amicizia con il principe Ranieri, giocò a golf e fu maestro di tennis del giovane Alberto. Quando si presentava al Country Club alla vigilia del torneo, gli organizzatori lo accoglievano con una frase che divenne tradizione: “Adesso il torneo può cominciare”.

La sua vita privata fu ricca di amori celebri e segnata da un solido legame con Lea Pericoli, icona parallela del tennis italiano. A chi gli domandava quale impresa lo rendesse più orgoglioso, rispose sempre indicando la vittoria della Coppa Davis del 1976 da capitano, ottenuta in Cile nonostante le forti pressioni politiche contrarie alla trasferta nel Paese governato da Augusto Pinochet.

L’eredità sportiva di Pietrangeli

Pietrangeli stabilì record destinati a durare: debuttò in Coppa Davis nel 1954 e disputò 66 sfide tra nazioni, giocando complessivamente 164 match — un primato mondiale. Ne vinse 120: 78 in singolare e 32 in doppio, spesso in coppia con Sirola. Conquistò 48 titoli, due Roland Garros, due Internazionali d’Italia e raggiunse una semifinale a Wimbledon nel 1960, dimostrandosi competitivo anche sull’erba.

Vinse anche con la maglia azzurra: l’oro ai Giochi del Mediterraneo del 1963, il bronzo nel doppio nella stessa edizione e il bronzo nel torneo dimostrativo dei Giochi di Città del Messico del 1968. Continuò a giocare fino ai quarant’anni, incrociando persino la generazione di Adriano Panatta e alimentando una rivalità che appassionò tifosi e giornali.

Nel 1986 fu il primo italiano a entrare nella Hall of Fame di Newport, coronamento di una carriera che lo vide chiudere sette stagioni tra i primi dieci del mondo secondo le classifiche curate da Lance Tingay per il “Daily Telegraph”.

Un simbolo destinato a rimanere

Negli ultimi anni, Pietrangeli ha svolto per la Federtennis il ruolo di ambasciatore del tennis azzurro ed è diventato uno dei volti più rappresentativi dello sport italiano. Nel 2006 lo storico stadio della Pallacorda al Foro Italico è stato intitolato intitolato a lui, trasformandosi ufficialmente nel Campo Pietrangeli.

La recente perdita del figlio Giorgio lo ha provato profondamente, consumando un fisico già fragile. Ma l’immagine che rimane nella memoria collettiva è quella del campione libero, geniale, elegante: l’uomo di cui Ken Rosewall disse che, anche su un’isola deserta e senza allenamento, “avrebbe battuto tutti”.

Tags: Tennis

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