Il regista e sceneggiatore Stefano Sollima, noto internazionalmente per aver ridefinito il genere crime italiano con opere come Romanzo Criminale e Gomorra, ha recentemente condiviso le intense sfide emotive e fisiche affrontate durante la realizzazione della sua ultima miniserie, incentrata sulla complessa vicenda del Mostro di Firenze. Il progetto è stato descritto al podcast Supernova dallo stesso Stefano Sollima come l’esperienza più faticosa ed emotivamente disturbante della sua vita, tanto da averlo lasciato “completamente devastato” fisicamente.
Nonostante fosse strutturata come una miniserie, Sollima ha rivelato che il progetto era stato inizialmente concepito come un film, ma il materiale a disposizione era talmente “infinito” ed “esterminato” da rendere necessario l’approccio del formato seriale. La sua fascinazione per il genere crime è radicata nella volontà di raccontare la terrificante semplicità della banalità del male.
La scelta drammaturgica: raccontare gli Indagati
La sfida principale nel narrare una storia così complessa e delicata, che si estende per decenni e che non ha un unico colpevole accertato per tutti i 16 omicidi, ha portato Stefano Sollima e il coautore Leonardo Fasoli a un’idea drammaturgica semplice e, a loro avviso, necessaria. Hanno deciso di non concentrarsi tanto sulle indagini, quanto sui sospettati stessi, adottando una serie di episodi monografici su ciascuno degli indagati.

Questo taglio narrativo ha permesso di raccontare la storia “così com’è stata”, senza sposare alcuna tesi e abbracciando tutte le contraddizioni emerse dalle indagini reali. La visione di Stefano Sollima si è basata su un’analisi meticolosa di tutti i libri, gli atti processuali e i documenti giudiziari. Il regista ha sottolineato la frustrazione derivante dal fatto che la risposta giudiziaria non è stata adeguata, con tre duplici omicidi che restano insoluti. Lavorare con i nomi veri ha imposto un rigido vincolo, costringendo il racconto a muoversi all’interno di una “gabbia” di fatti documentati, senza margine per l’istinto narrativo.
Un dettaglio tecnico interessante riguarda la rappresentazione del Mostro: non esistendo una descrizione univoca, il team ha scelto di cambiare l’attore che interpreta il Mostro in ogni episodio. La serie, oltre al true crime, offre anche un ritratto fedele e desolante dell’Italia rurale degli anni ’60 e ’70, un sistema patriarcale che schiacciava le donne, un mondo che oggi appare “totalmente folle” e appartenente a un altro secolo.
Da Romanzo Criminale a Hollywood: Il percorso di Stefano Sollima
La carriera di Stefano Sollima è stata segnata da progetti ambiziosi e rischiosi. Egli ha ricordato come, all’inizio, proporre Romanzo Criminale – La serie significasse lavorare a un “prodotto di serie B”, poiché la televisione era considerata inferiore al cinema, specialmente dopo un film di un grande autore.
Successivamente, Gomorra ha rappresentato una sfida produttiva ancora più ardua, non solo per il linguaggio in dialetto, ma per le difficoltà logistiche legate alle riprese a Scampia, un luogo dove la troupe fu costretta a fare i conti con la realtà della criminalità. Nonostante gli iniziali dubbi sulla violenza disturbante e sulla nicchia del progetto, Gomorra si rivelò un successo inaspettato.
Sollima ha riflettuto sulla sua esperienza internazionale, dove in America è cercato principalmente per progetti che riguardano la mafia o le organizzazioni criminali, o che abbiano un legame con l’Italia. Tuttavia, ritiene che il cinema americano stia attraversando una fase ciclica di minor coraggio produttivo. Per Stefano Sollima, la scelta di un progetto è totalizzante, un impegno che richiede due anni di vita e la devozione totale. La sua filosofia è chiara: “devi essere proprio impazzito” per un progetto, altrimenti non ne vale la pena. La consapevolezza del tributo fisico che questo lavoro esige lo spinge a considerare un “Plan B” per il futuro, magari dedicandosi al vino o all’arte, o alla produzione per sostenere altri talenti.






