Milano, 19 dicembre 2025 – Prendiamo il toro per le corna: può davvero accadere che un film diventi universalmente noto grazie a una parodia e a un insulto? In Italia, forse sì, e il caso più emblematico è quello de La corazzata Potëmkin di Sergej Ejzenštejn, realizzato nel 1925. Un’opera monumentale, considerata uno dei vertici assoluti della storia del cinema, che oggi compie cento anni e che per molti italiani è indissolubilmente legata a una scena comica entrata nella leggenda: quella de Il secondo tragico Fantozzi, diretto da Luciano Salce e uscito nel 1976, secondo capitolo dedicato all’immortale impiegato creato e interpretato da Paolo Villaggio.
La corazzata Potëmkin secondo Fantozzi
La sequenza è arcinota. Gli impiegati della megaditta sono costretti dal crudele e cinefilo capoufficio Guidobaldo Maria Riccardelli a subire interminabili proiezioni del film di Ejzenštejn nei lugubri cineforum aziendali. Dopo l’ennesima visione, per giunta sovrapposta a una ben più allettante partita di calcio tra Italia e Inghilterra, “in cui si vociferava avesse segnato perfino Zoff di testa“, Fantozzi trova finalmente il coraggio di ribellarsi: sale sul palco e proclama che “la corazzata Potëmkin è una cagata pazzesca”. Non una “boiata”, come spesso si sente dire: Villaggio usa proprio quel termine, e bastano i 92 minuti di applausi a suggellare la liberazione collettiva.
È interessante notare che, forse per un residuo di pudore, nel film il nome del regista sovietico viene storpiato in “Einstein” e il titolo diventa “Kotiomkin”. Compaiono comunque alcuni frammenti della celeberrima sequenza della scalinata di Odessa, accompagnati però da una musica del tutto incongrua: un tema pianistico tratto dai Quadri di un’esposizione di Musorgskij.

Paolo Villaggio apprezzato in Unione Sovietica
In realtà Paolo Villaggio era una persona di grande cultura ed era molto apprezzato in Unione Sovietica. Raccontava che a Mosca, dove i suoi libri erano tradotti, il poeta Evgenij Evtušenko lo aveva paragonato a Gogol, salvo poi aggiungere ironicamente che doveva essere ubriaco. Villaggio sapeva benissimo che La corazzata Potëmkin non è affatto una “cagata pazzesca” e neppure un film “in diciotto bobine”.
Il film dura infatti tra i 75 e gli 80 minuti, a seconda delle numerose versioni esistenti. La ragione è semplice: uscì in tutto il mondo e, come accadeva nel cinema muto, la durata variava in base alle didascalie, che ogni Paese adattava, e ai tagli imposti dalle diverse censure. Si trattava di un’opera politicamente incandescente: l’Italia fascista, per esempio, la proibì, e il film arrivò nelle nostre sale solo nel 1960, accompagnato da un enfatico commento di Arnoldo Foà che leggeva le didascalie evitando accuratamente termini come “compagno” o “rivoluzione”. Negli anni Venti era considerato anche un film violento, e la fucilazione della folla sulla scalinata di Odessa colpisce ancora oggi per la sua durezza.
La prima mondiale
La prima mondiale ebbe luogo il 21 dicembre 1925 al teatro Bol’šoj di Mosca, una sede che testimonia l’importanza dell’evento. Il film uscì poi regolarmente in sala nel gennaio del 1926. La critica lo accolse con entusiasmo: Adrian Piotrovskij scrisse sulla Krasnaja Gazeta che si trattava della “prima pietra di un’epica rivoluzionaria”. Il pubblico, invece, inizialmente reagì in modo più tiepido.
Il successo arrivò solo dopo il clamoroso riscontro ottenuto all’estero, soprattutto in Germania. Il film celebrava il ventesimo anniversario della rivoluzione del 1905, repressa nel sangue dalle truppe zariste. Alla prima proiezione si apriva con una citazione di Lev Trockij tratta dal libro 1905, che avrebbe dovuto essere anche il titolo originario del film. Con l’ascesa di Stalin, però, Trockij divenne un nome impronunciabile e la citazione fu sostituita da una frase di Lenin, tuttora presente all’inizio dell’opera.
L’eredità de La corazzata Potëmkin
Ma che cosa dice oggi La corazzata Potëmkin a uno spettatore di cent’anni dopo? Ha ancora la forza persuasiva di cui parlava Joseph Goebbels, che lo definì un film capace di trasformare chiunque in un bolscevico? Oppure siamo ormai costretti a leggerlo come un puro esercizio di stile, una straordinaria riscrittura delle regole del montaggio cinematografico? Di certo si tratta di un tour de force formale di livello assoluto, che esprime l’energia e l’entusiasmo di una gioventù: quella di un Paese appena nato e quella di un gruppo di artisti giovanissimi. Ejzenštejn aveva 27 anni, il direttore della fotografia Eduard Tissé 28, l’aiuto regista e montatore Grigorij Aleksandrov appena 22. Importante fu anche il contributo del compositore Edmund Meisel, autore della prima colonna sonora.
Il progetto iniziale, come racconta Viktor Šklovskij nel libro Sua maestà Ejzenštejn, prevedeva un film a episodi dedicato all’anno 1905. Il cattivo tempo impedì però di girare a Leningrado e, dopo aver visto alcune fotografie della scalinata di Odessa, Ejzenštejn decise di concentrare tutto sulla rivolta della corazzata. Oggi colpisce il carattere profondamente “ucraino” del film, ambientato a Odessa e incentrato sulla figura storica del marinaio Vakulenčuk, di origine contadina ucraina. L’opera riflette anche il melting pot sovietico di quegli anni, prima che Stalin intervenisse brutalmente sugli equilibri interni.
Il finale del film riscrive apertamente la Storia: la rivoluzione del 1905 fu sconfitta, ma sullo schermo sembra trionfare. È un’anticipazione dei compromessi politici che Ejzenštejn dovette affrontare in seguito. Il celebre colloquio con Stalin su Ivan il Terribile mostra chiaramente il rapporto drammatico e ambiguo tra arte e potere, un rapporto che con La corazzata Potëmkin stava solo cominciando.





