Palermo, 26 settembre 2025 – Luca Guadagnino, uno dei registi italiani più acclamati a livello internazionale, torna a raccontarsi in un’intervista esclusiva rilasciata al Corriere della Sera. Con uno sguardo profondo sulla sua carriera, sul percorso umano e artistico di Timothée Chalamet, e sulle sue visioni sul cinema e sulla società contemporanea, il regista palermitano offre riflessioni che abbracciano anche temi attuali come la politica americana e la cultura giovanile.
L’incontro con Timothée Chalamet
Luca Guadagnino ricorda con nitidezza il primo incontro con Timothée Chalamet, allora diciassettenne, destinato a diventare uno degli attori più importanti della sua generazione. “Lo vidi in un ristorante a New York, era la quintessenza del ragazzo newyorkese: veloce, smagato, curioso, ambizioso”, racconta il regista. Originariamente previsto come solo produttore di Chiamami col tuo nome, Guadagnino si trovò infine a dirigere il film dopo l’abbandono dell’altro regista italiano designato. Tornato da Chalamet due anni dopo, confermò la sua perfetta idoneità per il ruolo di Elio Perlman.
Uno dei momenti più emblematici fu durante la scena in cui il giovane protagonista si rade davanti allo specchio: “Aveva un’espressione così precisa e naturale, senza recitazione, solo essenza, che gli dissi: tu diventerai una star, nel giro di un anno viaggerai in aereo privato”. La profezia si è avverata con la rapida ascesa di Chalamet, che oggi è riconosciuto come un talento internazionale, con ruoli di primo piano in film come Dune, Wonka e la recente interpretazione biografica di Bob Dylan in A Complete Unknown.
Fellini tra ammirazione e critica: il punto di vista di Guadagnino
Nonostante il suo profondo legame con il cinema italiano, Guadagnino esprime una posizione critica nei confronti di Federico Fellini. “Lo trovo noioso e prevedibile, tranne in pochi capolavori come La strada e Giulietta degli Spiriti. 8 e mezzo? Poteva durare un’ora in meno”, spiega, sottolineando il ruolo fondamentale di Giulietta Masina che, a suo avviso, illumina opere anche meno fortunate come Ginger e Fred. Il regista palermitano, pur riconoscendo l’immenso contributo storico di Fellini, rimarca che “un artista non dovrebbe diventare un canone. Fellini ha fatto film felliniani, e questo può essere anche un limite”.
Questa riflessione si inserisce in un discorso più ampio sul cinema d’autore e sulla necessità di rinnovamento, evidenziando il bisogno di guardare oltre i modelli consolidati per esplorare nuove forme di narrazione.
Cinema e società: tra politica, cultura woke e nuove generazioni
Guadagnino affronta anche temi attuali con grande lucidità, a partire dalla sua analisi sul fenomeno Donald Trump. Contrariamente a molti intellettuali italiani, il regista non demonizza completamente l’ex presidente americano: “Già nel 2016 dicevo che Trump avrebbe vinto, mentre i miei amici liberal sorridevano increduli. Trump è stato percepito dalla classe operaia come l’ultima occasione per essere visti e ascoltati, mentre l’élite li disprezzava”.
Il regista invita a una “ricodificazione della sinistra-sinistra”, ispirata a figure come Ken Loach, che non si comprometta con le ragioni economiche delle grandi corporation. Nonostante collabori con grandi colossi come Amazon per la produzione dei suoi film, Guadagnino sottolinea la sua convinzione nella supremazia dello Stato sui poteri economici e nella democrazia rappresentativa sul potere delle lobby.
Nel suo ultimo film, After the Hunt (2025), affronta tematiche complesse come il #MeToo e la cultura woke, ambientato in un campus americano ricostruito in teatro di posa a Londra, con protagonisti Julia Roberts e Andrew Garfield. Guadagnino riflette sull’approccio delle nuove generazioni al riconoscimento della diversità: “I giovani tendono a pensare che riconoscere la differenza e darle un nome sia sbagliato, che l’altro sia necessariamente un elemento positivo. In realtà, l’altro va riconosciuto nella sua alterità, come dice Slavoj Žižek parafrasando Martin Lutero”.

