Venezia, 23 settembre 2025 – È tornato sotto i riflettori Felice Maniero, noto come “Faccia d’Angelo”, ex capo della Mala del Brenta, nell’ultima stagione di Pulp Podcast condotto da Fedez e Mr. Marra. L’intervista esclusiva, realizzata in una località segreta, ha offerto uno sguardo inedito su uno dei criminali più controversi del Nord Italia, oggi 71enne, che ha rievocato con voce debole ma lucida le tappe della sua carriera criminale, le evasioni leggendarie e i rapporti con le istituzioni.
L’intervista esclusiva: il volto nascosto e la confessione di Felice Maniero
Felice Maniero, l’ex boss si è presentato in un primo momento con il volto coperto da una tradizionale bauta veneziana, simbolo di anonimato e mistero, ma ha poi deciso di mostrarsi alle telecamere. Quando Fedez gli ha chiesto se avesse mai avuto amici veri all’interno dell’organizzazione e se avesse rimpianti per aver scambiato la libertà per la loro sicurezza, Maniero ha risposto con freddezza: “No, no… niente. Quando ho collaborato l’ho fatto per convenienza, nel 1994, ho raccontato tutto“. La sua collaborazione con la giustizia, avviata nel 1995, fu decisiva per lo smantellamento della Mala del Brenta, un’organizzazione nata negli anni ’70 a Campolongo Maggiore, lungo il fiume Brenta, e che è stata la prima mafia del Nord Italia.
Maniero ha rievocato con una punta di nostalgia le sue famose evasioni: “Le rifarei subito se capitasse. Il pathos che ti danno non ha eguali, soprattutto se si fugge da un carcere speciale“. Le sue fughe dal carcere di Fossombrone e da quello di Padova, spesso favorite dalla corruzione di guardie penitenziarie, sono leggendarie e testimoniano il livello di infiltrazione che la sua banda esercitava anche all’interno degli apparati statali.
La Mala del Brenta, dai furti al traffico di armi e droga
Felice Maniero ha raccontato le origini umili e il progressivo consolidamento della sua banda criminale, che iniziò con furti di bestiame e camion carichi di Parmigiano Reggiano per poi passare a rapine più sofisticate, come quella al Casinò di Venezia, che fruttò 8-9 miliardi di lire. Il colpo più eclatante rimane però quello al treno blindato del 13 dicembre 1990, in cui un’esplosione causò la morte della giovane studentessa Cristina Pavesi, episodio che gli valse una condanna per omicidio colposo.
L’ex boss ha anche confermato il legame con le mafie meridionali, in particolare con la Camorra, e il traffico internazionale di armi dalla Jugoslavia, estendendo la sua influenza criminale su più territori. “Ho fatto un grande traffico tra Venezia e Jugoslavia, con Bosnia e Serbia, vendevamo a tutti“, ha ammesso. La sua banda contava fino a 400 affiliati, una struttura che Maniero definisce più una vera e propria organizzazione mafiosa che una semplice banda di criminali.
Rapporti con apparati dello Stato e nuovo capitolo della vita
Maniero non ha nascosto i rapporti corruttivi con uomini delle forze dell’ordine e dei servizi segreti: “Pagavamo l’ispettore capo della polizia di Stato 6 milioni al mese, quello dei carabinieri pure; poi avevamo un colonnello dei servizi segreti“. Questi legami permisero alla Mala di operare con un livello di impunità che ha lasciato un segno profondo nella storia criminale italiana.
Dopo la scarcerazione nel 2010 e il cambio di identità, Maniero ha tentato una nuova vita imprenditoriale con un’azienda di depurazione idrica, la Anyaquae, ma l’attività è fallita a causa di problemi di conformità sanitaria. Nel 2019, dopo un’intervista con Roberto Saviano, ha annunciato un progetto innovativo per la lotta alle microplastiche, dimostrando un interesse per la salute pubblica e la tutela ambientale. Tuttavia, la sua vita recente è stata segnata da un nuovo arresto nel 2019 per maltrattamenti nei confronti della compagna, reato per cui è stato condannato in via definitiva nel 2021 a quattro anni di carcere, pena scontata a partire dal 2023.
Il giornalista Maurizio Dianese, che ha seguito da vicino la vicenda di Maniero e ha curato un libro in uscita per Feltrinelli, ha sottolineato: “È il più grande bandito del Nord Italia, con un patrimonio criminale di almeno 33 miliardi di lire spesi e mai recuperati“. Dianese ha inoltre raccontato come Maniero abbia sofferto di una forte depressione, un lato poco conosciuto ma umano del criminale.
In questa intervista intensa e senza filtri, Felice Maniero offre uno spaccato unico su una figura che ha segnato profondamente la criminalità italiana e la storia della giustizia nel nostro Paese.






