Enzo Iacchetti si definisce un uomo tranquillo che non frequenta il “suo” mondo, quello dello spettacolo, preferendo la pace della sua casa nel bosco sul Lago Maggiore. A 73 anni, Iacchetti dichiara, in una chiacchierata all’One More Time Podcast di Luca Casadei, di non avere più paura né della morte né delle conseguenze pubbliche delle sue opinioni, sentendosi finalmente libero di vivere secondo le proprie regole. In una lunga conversazione, emerge il ritratto di un uomo segnato da una nostalgia profonda, una frequenza emotiva che definisce la sua anima e che spesso nasconde dietro un sorriso educato.
Le radici: un padre ciabattino e il “no” alla musica
Nato a Castelleone nel 1952, Iacchetti è cresciuto in una famiglia dalle radici contadine. Suo padre, Antonio, era un ciabattino di strada che, per dare dignità alla famiglia, decise di trasferirsi sul Lago Maggiore per gestire un piccolo negozio di bibite. Il loro rapporto era fatto di silenzi; l’onestà e la sincerità erano valori che Enzo imparava semplicemente osservandolo lavorare duramente fino a tardi per pagare i debiti.
Il primo grande conflitto nacque per la passione di Enzo per la musica: quando una professoressa suggerì il conservatorio per il suo orecchio assoluto, il padre si oppose con una scusa surreale, dicendo che il figlio era “allergico al pomodoro” (facendo confusione tra conservatorio e conserve). In realtà, l’uomo temeva quell’ambiente che considerava pieno di pericoli e “brutta gente”. Questo diniego portò Iacchetti a vivere una vita parallela: studiava da ragioniere di giorno, mentre di notte formava complessi e lavorava come facchino del ghiaccio per finanziarsi gli strumenti.
L’università del Derby e la caduta di “Rocky”
Il Derby Club di Milano è stato la vera palestra di Iacchetti, un luogo di surrealtà dove ha condiviso il palco con giganti come Faletti, Jannacci e l’amico fraterno Giobbe Covatta. Quando il locale chiuse, Iacchetti visse un momento di profonda depressione, sentendosi “al tappeto”. Come il suo idolo cinematografico Rocky Balboa, ha trovato la forza di rialzarsi, lavorando come cameriere in montagna e continuando a scrivere. Fu proprio osservando gli animali durante il servizio che nacquero le sue celebri poesie bonsai, che lo portarono infine al successo nel 1990 al Maurizio Costanzo Show.
La generosità e l’impegno umanitario
Nonostante il successo economico, Iacchetti è rimasto una persona che fatica a gestire il denaro, ammettendo di averlo spesso prestato senza mai riceverlo indietro. La sua figura è accompagnata costantemente dall’ “apparizione” simbolica del padre defunto, che lo richiama alla sobrietà ogni volta che tenta un acquisto di lusso, come una macchina costosa o una casa troppo grande.
Dietro la maschera del comico, batte un cuore profondamente dedito alla solidarietà, vissuta lontano dai riflettori. Durante il podcast, ha rivelato con orgoglio: “ho aperto 100 pozzi in Africa… in un villaggio Masai e due scuole… senza dirlo mai a nessuno“. Iacchetti rivendica questa sua azione contro chi lo accusa di sentimenti d’odio (cosa per cui è stato denunciato) sottolineando di aver finanziato tutto con i propri risparmi perché li riteneva in abbondanza rispetto ai bisogni altrui.
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Il futuro della TV e la libertà di espressione
L’analisi di Iacchetti sulla televisione attuale è lucida e critica. Ammette di aver amato la Striscia la Notizia capace di causare crisi di governo o denunciare scandali nazionali, e di apprezzare meno quella attuale, influenzata dai filmati del web. Prevede che tra dieci anni la TV tradizionale potrebbe sparire, sostituita interamente dall’on-demand.
Oggi Iacchetti non teme di esporsi su temi spinosi, come il sostegno alla Palestina (che ha scatenato la famosa lite in tv), forte delle sue “riserve reputazionali” costruite in decenni di carriera onesta. Nonostante soffra ancora di ansia e malinconia cronica, guarda con speranza ai giovani che scendono in piazza per la giustizia sociale, ammettendo di averli giudicati troppo in fretta come una “generazione pigra” legata solo agli smartphone.





