L’intervista concessa da Enzo Iacchetti al podcast Tintoria (episodio #274), registrata dal vivo al Castello Sforzesco di Milano, offre un ritratto completo e sincero di un artista che ha attraversato mezzo secolo di spettacolo italiano. Il racconto si muove dagli esordi difficili, segnati da una lunga gavetta, fino al successo televisivo con il Maurizio Costanzo Show e Striscia la Notizia. Tra aneddoti e riflessioni, emergono i tratti più autentici della sua personalità: la tenacia, la coerenza politica, l’ironia come strumento di sopravvivenza e una spiritualità profonda che si riflette nel suo ultimo libro, 25 minuti di felicità.
Gli inizi della carriera di Iacchetti: dal talento musicale alla scoperta del cabaret
L’amore per l’arte nasce in Iacchetti sin da bambino, quando la sua insegnante di musica, intuendone l’“orecchio assoluto”, suggerisce al padre di iscriverlo al conservatorio. L’uomo, operaio, rifiuta con una battuta che diventa un aneddoto familiare, ma il piccolo Enzo non si arrende. Da autodidatta, canta nelle parrocchie del suo paese, Maccagno, come voce bianca, e a soli quattordici anni forma la sua prima band, The Ts Taps, ispirata ai Beatles.
L’incontro con la musica dei Gufi segna una svolta decisiva: quella vena ironica e popolare lo spinge verso il cabaret. Con il gruppo I Twitch, inizia a esibirsi nei locali notturni, accompagnandosi con una chitarra che la madre gli passava di nascosto. Ma la sua libertà creativa viene bruscamente interrotta dal servizio militare: un’iscrizione anarchica sulla sua Fiat 500 (“Se la patria ti chiama, dille che ripassi”) gli costa quindici mesi in una caserma punitiva vicino al confine jugoslavo. Al ritorno, trova rifugio nella radio: conduce da solo un’emittente libera al confine con la Svizzera, cambiando voce per interpretare conduttori di ogni genere.
La gavetta nei locali e la nascita di uno stile
Iacchetti dedica ampio spazio al racconto della sua gavetta, spesso in ambienti ostili che lo costringono a rafforzare tecnica e carattere. Tra questi, la pizzeria milanese La Bellingereta, dove ai cabarettisti venivano offerti cinquecentomila lire solo se resistevano quindici minuti sul palco. In mezzo a un pubblico che lanciava croste di pizza, Iacchetti riusciva a portare a termine l’esibizione, imparando a schivare i “proiettili” e a riderci sopra.
Ancora più difficile era il clima dei night club, popolati da clienti interessati solo agli spogliarelli. Tra fumo, urla e mozziconi di sigaretta accesi, il giovane artista si imponeva di resistere almeno dieci minuti per ricevere il compenso, anche a rischio di bruciarsi la chitarra. Negli anni Novanta, la scena si sposta nelle discoteche, dove il pubblico, spesso alterato, reagiva in modo imprevedibile. È qui che nasce il concetto delle canzoni bonsai: brani brevissimi, di trenta secondi, pensati per non annoiare e tenere alta l’attenzione.
Il Derby Club: una scuola di vita e sopravvivenza
Il Derby Club di Milano rappresenta per Iacchetti la palestra più dura ma anche più formativa. Lo descrive come un luogo dove convivevano artisti, intellettuali e criminali noti dell’epoca, che però dimostravano rispetto quando sul palco si ironizzava sulla malavita. Qui nasce il personaggio del “cantautore sfigato”, che si inventa esperienze internazionali inesistenti e ripete con autoironia l’intercalare “cioè cazzo”.
In quel periodo vive con Giobbe Covatta in un appartamento milanese privo di mezzi. I due condividono la fame e la fantasia: per ingannare lo stomaco, si fermano davanti alle vetrine di una gastronomia e immaginano di gustare i piatti esposti. In un altro episodio, Iacchetti tenta di bere un uovo crudo trovato nel frigorifero, ma Covatta – completamente nudo – lo ferma: “È sodo, stronzo”. Da questa povertà nascono complicità e humour. In un villaggio turistico, un incidente imbarazzante con uno spettatore non vedente gli insegna invece l’importanza dell’empatia: dopo aver tentato di svegliarlo credendolo addormentato, scopre che l’uomo si era divertito più di tutti.
La svolta televisiva: il successo di Iacchetti al Maurizio Costanzo Show
Il 1990 segna la fine della lunga gavetta e l’inizio della notorietà nazionale. Dopo un primo provino fallito, Iacchetti entra nel cast del Maurizio Costanzo Show, dove resterà per 187 puntate. Il pubblico lo identifica subito con le sue “poesie bonsai” e “canzoni bonsai”, componimenti brevi e surreali come la celebre “Mucca suonante il battacchio pesante…” o la mini canzone che “finisce già”.
Il successo lo riscatta economicamente: da un conto in rosso passa a guadagnare mezzo milione di lire a serata. La fama è immediata, anche se inizialmente molti lo riconoscono soltanto come “quello delle cose piccole”. Ma la sua comicità surreale e poetica segna un’epoca e lo consacra nel panorama televisivo.
Striscia la Notizia: la coppia perfetta con Greggio
Con l’arrivo a Striscia la Notizia, la carriera di Iacchetti si consolida definitivamente. L’artista racconta con ironia i retroscena del suo ingaggio, ridicolizzando le versioni di Antonio Ricci: secondo una, sarebbe stato confuso con Gianni Ciardo; secondo un’altra, assunto grazie alla raccomandazione di un cugino gelataio di Sanremo.
Il sodalizio con Ezio Greggio, durato più di trent’anni, viene descritto come una relazione professionale equilibrata: “una coppia che si forma ma non nasce coppia”. Nonostante non siano amici nella vita privata, tra loro non c’è mai stato un litigio. Il segreto, spiega, è aver mantenuto percorsi artistici distinti: teatro per lui, cinema per Greggio.
Non manca un episodio esilarante: lo scherzo del “figlio illegittimo”, organizzato da Ricci e Greggio, in cui un’attrice si presenta con un bambino sostenendo che fosse il frutto di una loro notte di passione. Solo una telecamera nascosta rivelerà la burla.
Le idee di Iacchetti: politica, fede e media
Durante il podcast, Iacchetti non risparmia giudizi sulla politica e sulla società contemporanea. Sulla questione israelo-palestinese, contesta la narrativa dominante secondo cui il conflitto sarebbe iniziato il 7 ottobre 2023, ricordando decenni di violenze precedenti. Denuncia la situazione di Gaza come un “genocidio in corso” e definisce Benjamin Netanyahu “un pazzo assassino”, paragonandolo a Hitler.
Le sue posizioni gli valgono minacce via email, ma non lo fanno arretrare. Allo stesso modo, non risparmia Matteo Salvini, di cui legge e commenta una dichiarazione giudicata “una supercazzola pazzesca”, ironizzando sul suo passato da “comunista dei giovani padani” e invitandolo a “leggere un libro”.
Sul piano personale, Iacchetti si definisce “cristiano” nel senso etico e solidale del termine, non legato a etichette politiche o religiose. Critica con durezza i telegiornali tradizionali, che considera “bugiardi”, e vede nella rete un mezzo potenzialmente liberatorio, se usato con discernimento. Infine, profetizza la fine della televisione generalista entro pochi anni, soppiantata dallo streaming.
“25 minuti di felicità”: una riflessione sul tempo e sulla vita
Nel suo libro 25 minuti di felicità, Iacchetti riflette sulla brevità dell’esistenza ispirandosi a Seneca e a Piero Angela. Se l’intera vita umana, in scala cosmica, dura mezz’ora, i suoi 72 anni rappresentano già 25 minuti trascorsi. Rimangono quindi “solo cinque minuti”, da vivere con intensità e gratitudine.
Il volume non è una raccolta comica, ma un testo meditativo, scritto con leggerezza e profondità. Racconta una vita fortunata ma consapevole della propria finitezza, un invito a vivere ogni momento come se fosse l’ultimo.
Gli oggetti della memoria: la borsa e gli aneddoti finali
A chiusura dell’intervista, Iacchetti apre la borsa che lo accompagna ovunque: un contenitore simbolico di ricordi, medicine e curiosità. Dentro tiene antidolorifici, pillole per la pressione e le vertigini, Xanax, LevoPride e una boccetta di nitroglicerina liquida ricevuta oltre vent’anni prima come rimedio d’emergenza. Accanto ai medicinali, conserva un foulard, una giacca a vento, caramelle Fisherman’s Friend “per l’eventuale sbadilatina”, un ironico libro di preghiere per “Papa Leone di Lernia II” e un volume che elenca i massacri in Palestina.
Tra i ricordi più vividi spicca un incontro con Silvio Berlusconi nel 1994: presentato da Emilio Fede come “un comunista”, Iacchetti viene perquisito scherzosamente dall’allora premier, che commenta: “se tutti i comunisti facessero gli ascolti che fa questo qua, io li prenderei tutti”.
Infine, rispondendo alla rubrica del podcast “Cacare in discoteca”, racconta un episodio imbarazzante di colite ulcerosa: un attacco improvviso in auto, in compagnia di Costanzo e Greggio, che lo costrinse a fermarsi in un campo di granturco nei pressi degli studi Mediaset.
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