Cesare Cremonini, ospite del podcast “Supernova – Ale Cattelan”, ha offerto una profonda riflessione sulla sua lunga carriera, l’evoluzione dell’industria musicale e il complesso rapporto tra artista e pubblico. L’artista, che ha iniziato la sua carriera giovanissimo, pubblicando il suo primo disco a 18 anni, ha avuto la fortuna di poter avere una carriera molto lunga, ma sottolinea la necessità di usare “tanta forza per sapersi adattare e trasformarsi” di fronte ai cambiamenti rapidissimi del settore. Cremonini ammette di aver dovuto affrontare un bivio cruciale nella sua vita artistica, riassumibile in una scelta netta: “Ho dovuto decidere se provare a fare canzoni e inseguire il il fast food della musica di questo periodo o provare a continuare a scrivere canzoni che secondo me potessero durare”. Questa filosofia, basata sul “non accontentarti, non giocare la partitina amichevole”, è ciò che ha garantito la sua credibilità e autenticità presso il pubblico.
L’arte di Cesare Cremonini nell’era dello streaming
L’artista bolognese analizza con lucidità le trasformazioni che hanno traumatizzato la sua generazione, come il fatto che il mondo della musica sia ora “in mano per esempio dal punto di vista di immagine agli stylist” o che il telefono sia il principale mezzo di comunicazione con il pubblico. Cremonini, pur essendo riuscito a rimanere competitivo, esprime ambiguità sul nuovo sistema dello streaming. Sebbene il suo brano “Ora che non ho più te” sia stato quello che ha trascorso più tempo in classifica streaming nell’anno, l’artista non è certo che questo sia “solo merito del pubblico”. Egli percepisce che il successo possa essere appoggiato dal sistema per far “girare la macchina la slot machine”, rendendo il processo ambiguo e perverso.

Riflettendo sul panorama attuale, Cremonini paragona i Maneskin ai Lunapop degli anni 2020, pur notando che “i Lunapop sono stati un progetto punk in confronto a quello che stati Maneskin”. Sebbene i tempi siano completamente diversi, l’anima dell’arte viaggia fortunatamente su paralleli misteriosi. La sua aspirazione è quella di “essere veramente artisti in questo paese”, il che per lui significa “provare a surfare su delle onde anomale”, sfidando le proprie capacità. Brani come Poetica, che è stata una vera “onda anomala” e che è un pezzo di oltre cinque minuti con code strumentali, hanno dimostrato che è possibile ottenere un grande successo discografico e di streaming pur non omologandosi.
La musica come salvezza e la crudeltà del pubblico
Il rapporto di Cesare Cremonini con la sua arte è viscerale e salvifico. Confessa che la musica stessa è la sua guida. L’ossessione per lo studio è lampante: ora sta imparando a suonare il sax, dedicando fino a otto ore al giorno all’allenamento, anche utilizzando un “Travel Sax” che permette di studiare con la stessa posizione delle mani dello strumento vero, fondamentale per gli ossessivi compulsivi come lui. Egli ribadisce un concetto fondamentale per la sua etica artistica: “Io sono stato salvato dalla musica, questo sì, come tanti tantissimi continuo ancora oggi a sentirmi, a suonare il sax per salvarmi in qualche maniera”. Il successo non salva, ma è la musica che lo fa.
Cremonini nutre un approccio critico verso l’idea che l’artista debba ringraziare il pubblico come salvatore. “Il pubblico è la cosa più spietata che esiste”, afferma, aggiungendo che l’umanità sul palcoscenico ha una spietatezza che “va accettata e anzi va capita”. Il pubblico è un’entità che ha come unico scopo godersi lo spettacolo; non compra i dischi per farti un favore, ma perché ciò che fai li fa stare bene. Di conseguenza, l’artista non deve dipendere dall’affetto del pubblico, perché, citando Bob Dylan, “sometimes you have to disappoint the audience” (a volte devi deludere il pubblico). Per Cesare Cremonini, la cosa più preziosa che ha costruito in 25 anni di carriera è il suo repertorio, un’eredità che spera durerà nel tempo.






