La famiglia Trentini chiede azione per liberare Alberto, detenuto in Venezuela da otto mesi. Il sit-in a Roma richiama l’urgenza di tutelare gli italiani all’estero.
Roma, 15 luglio 2025 – Sono trascorsi otto mesi dall’arresto di Alberto, giovane detenuto in un carcere di massima sicurezza in Venezuela, e la sua famiglia denuncia un silenzio “insostenibile” da parte del Governo italiano. Armanda Trentini, madre di Alberto, si è presentata oggi a piazzale Clodio a Roma per un sit-in, in concomitanza con l’udienza sull’omicidio di Giulio Regeni, per chiedere un impegno concreto delle istituzioni affinché si attivino con urgenza per il rilascio del figlio.
La protesta della famiglia Trentini: “Il Governo deve agire”
“Oggi sono otto mesi esatti che mio figlio Alberto è in prigione e tutto tace – ha dichiarato Armanda Trentini – e tace anche la nostra presidente del Consiglio. Questo silenzio per me e la mia famiglia è insostenibile. Il nostro Governo deve attivarsi, come ha fatto quello svizzero con il compagno di prigionia di mio figlio, recentemente liberato e che ha raccontato alla stampa le terribili condizioni di detenzione in cui si trova ancora Alberto.” La signora Trentini ha sottolineato l’urgenza di mettere in campo ogni strumento diplomatico possibile, richiamando i precedenti di liberazioni di connazionali in situazioni analoghe.
La madre del giovane ha spiegato che non ci sono contatti diretti con le autorità venezuelane e ha invitato le istituzioni italiane a dimostrare attenzione e responsabilità: “Non possiamo più aspettare, ogni giorno di inerzia corrisponde a indicibili sofferenze per Alberto e per noi. Otto mesi sono troppi e dobbiamo ribellarci.”
L’udienza sul caso Regeni e il parallelo con la vicenda di Alberto
Il sit-in si è svolto davanti al tribunale di Roma in occasione dell’udienza riguardante l’omicidio di Giulio Regeni, il ricercatore italiano torturato e ucciso in Egitto nel 2016. Il caso Regeni ha rappresentato una ferita aperta nelle relazioni diplomatiche tra Italia ed Egitto, con la giustizia italiana che ha avviato un processo in absentia nei confronti di quattro membri dei servizi di sicurezza egiziani accusati dell’omicidio.
Giulio Regeni, studente di dottorato presso l’Università di Cambridge, era impegnato in una ricerca sui sindacati indipendenti egiziani quando fu rapito il 25 gennaio 2016 al Cairo. Il suo corpo, trovato pochi giorni dopo, mostrava segni evidenti di tortura. Le indagini italiane hanno accusato gli agenti dei servizi segreti egiziani, mentre le autorità del Cairo hanno negato ogni coinvolgimento, offrendo versioni contraddittorie e ostacolando le indagini. Dopo anni di attesa e tensioni diplomatiche, il processo nei confronti degli accusati è finalmente iniziato a Roma.
Il parallelo tra la vicenda di Alberto e quella di Regeni richiama l’attenzione sulle difficoltà affrontate dalle famiglie di italiani detenuti all’estero e sulla necessità di un intervento deciso da parte del Governo italiano. Mentre la madre di Alberto esprime la sua disperazione per il silenzio istituzionale, la famiglia Regeni continua a lottare per ottenere giustizia e verità.
Le istituzioni italiane sono chiamate a rispondere e a garantire la tutela dei cittadini all’estero, soprattutto in contesti di detenzione e violazione dei diritti umani, affinché casi come quelli di Alberto e Giulio Regeni non vengano dimenticati.





