Washington, 29 agosto 2025 – Un importante passo avanti nella lotta alla sclerosi laterale amiotrofica (SLA) arriva dagli Stati Uniti, dove è stato sperimentato un nuovo trattamento che rallenta significativamente la progressione della malattia. Il caso di Rakesh Parekh, un uomo della Florida di 52 anni, ha acceso nuove speranze per i pazienti affetti da questa patologia neurodegenerativa.
La nuova terapia genetica contro la SLA
Diagnostica nel 2021, Parekh ha iniziato ad aprile 2024 un trattamento con un farmaco innovativo chiamato oligonucleotide antisenso (Aso), specificamente sviluppato per bloccare il gene Chchd10. Questo gene, coinvolto in circa il 20% dei casi di SLA genetica, produce proteine alterate che compromettono le funzioni neurologiche legate al movimento e alla respirazione.
Il farmaco, somministrato tramite infusione ogni tre mesi, è stato realizzato dopo oltre tre anni di ricerca e un investimento di 1,2 milioni di dollari dalla Fondazione n-Lorem, che sostiene la ricerca su malattie rare con cause genetiche singole. Secondo il neurologo Bjorn Oskarsson della Mayo Clinic in Florida, la terapia ha permesso a Parekh di non peggiorare significativamente e di recuperare parte delle sue forze muscolari, un risultato “decisamente positivo ed atipico” per i malati di SLA, come sottolinea anche il professor Brian Pierchala dell’Indiana University.
Attualmente il trattamento con Aso è in fase di sperimentazione su altri dieci pazienti, rappresentando una delle prime terapie mirate contro la mutazione del gene Chchd10.
Nuove strategie di ricerca in Italia e stimolazione magnetica
Parallelamente, in Italia, l’Università di Padova insieme al CNR e all’Istituto Mario Negri di Milano ha pubblicato a luglio 2025 uno studio che apre a nuove strategie per rallentare la SLA. Il team ha scoperto un meccanismo di comunicazione tra le cellule staminali del muscolo scheletrico e i motoneuroni, mediato da microRNA, che può influenzare la progressione della malattia. Questa scoperta amplia la visione della SLA, non più considerata solo una malattia neurodegenerativa ma anche un disturbo che coinvolge il muscolo.
Inoltre, uno studio condotto dalla Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico e dalla Fondazione IRCCS Istituto Auxologico Italiano ha evidenziato come la stimolazione magnetica cerebrale transcranica statica, una tecnica non invasiva, possa rallentare la progressione della malattia. Dopo 24 mesi di trattamento, oltre il 70% dei pazienti trattati ha evitato il ricorso alla ventilazione meccanica, contro il 35% del gruppo non trattato.
Questi dati, pubblicati su “Lancet Regional Health Europe”, indicano che la stimolazione magnetica statica rappresenta una promettente opzione terapeutica complementare, sebbene siano necessari ulteriori studi per confermarne l’efficacia su larga scala.
Le ricerche internazionali e italiane mostrano quindi un quadro in evoluzione, con approcci innovativi che potrebbero migliorare significativamente la qualità di vita dei pazienti con SLA.






