Roma, 19 giugno 2025 – Un importante progresso nella comprensione della Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è stato raggiunto grazie a uno studio italiano pubblicato sulla rivista Cell Death & Differentiation. La ricerca, condotta presso l’Istituto di genetica molecolare “Luigi Luca Cavalli-Sforza” del Cnr di Pavia, in collaborazione con l’IFOM di Milano, le Università La Sapienza e Tor Vergata di Roma, e l’Istituto Mondino di Pavia, ha svelato il meccanismo che impedisce alle cellule dei pazienti di riparare il DNA danneggiato, aprendo la strada a potenziali nuove terapie.
Il meccanismo alla base della SLA: aggregati proteici e danni al DNA
La SLA è una malattia neurodegenerativa caratterizzata dalla progressiva perdita dei motoneuroni, con conseguente perdita di controllo muscolare e grave disabilità. Nonostante l’incidenza relativamente bassa, la sua prevalenza è in aumento, con stime che prevedono un aumento dei casi in Europa del 20% entro il 2040.
Lo studio ha evidenziato che nelle cellule affette da SLA si accumulano aggregati delle proteine FUS e TDP-43, che compromettono la capacità cellulare di attivare la risposta al danno del DNA (DNA Damage Response, DDR). Normalmente, questo sistema permette alle cellule di riparare rapidamente le lesioni al DNA, ma nella SLA la sua disfunzione porta all’accumulo di danni genomici e alla progressiva degenerazione neuronale.
Attraverso esperimenti cellulari e modelli murini, i ricercatori hanno dimostrato che il malfunzionamento del sistema DDR è associato a rotture del DNA a doppio filamento, innescate proprio dagli aggregati proteici. Inoltre, la ricerca ha messo in luce il ruolo delle endoribonucleasi DROSHA e DICER, coinvolte nel corretto funzionamento della risposta al danno. Il trattamento con enoxacina, un farmaco già approvato per le sue proprietà antibatteriche e antitumorali, ha mostrato la capacità di stimolare la riparazione del DNA bloccando l’accumulo dei danni.
Verso nuove prospettive terapeutiche
Sofia Francia, coordinatrice dello studio, ha spiegato che l’identificazione degli attori molecolari coinvolti ha consentito di testare a livello cellulare un approccio farmacologico promettente. “I risultati ottenuti rappresentano un primo passo verso lo sviluppo di terapie mirate, con la possibilità di migliorare la qualità di vita dei pazienti affetti da SLA”, ha commentato la ricercatrice.
Anna Ambrosini, responsabile scientifico di AriSLA, ente finanziatore della ricerca, ha sottolineato l’importanza di proseguire nel sostegno alla ricerca di alto livello: “Questi studi confermano la necessità di investire in progetti validi e rigorosi per affrontare una malattia ancora priva di cure efficaci”.
La scoperta offre quindi nuove speranze nel campo della ricerca sulla SLA, una patologia che, pur risparmiando le funzioni cognitive nella maggior parte dei casi, porta a una progressiva e devastante disabilità motoria. Il potenziamento della risposta cellulare al danno del DNA potrebbe rappresentare un punto di svolta nel trattamento di questa malattia neurodegenerativa.
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