Roma, 21 novembre 2025 – Nuove prospettive emergono nella lotta alla malattia di Alzheimer, una patologia neurodegenerativa che colpisce milioni di persone nel mondo. Recenti studi scientifici hanno evidenziato come il cervello stesso possa ospitare risorse naturali in grado di contrastare l’accumulo delle placche tossiche associate alla malattia, aprendo la strada a potenziali terapie innovative.
Il ruolo chiave degli astrociti nella rimozione delle placche amiloidi
Un lavoro pubblicato su Nature Neuroscience dal Baylor College of Medicine di Houston, guidato dal ricercatore Benjamin Deneen, ha dimostrato che gli astrociti, cellule cerebrali a forma di stella deputate al supporto dei neuroni, possono essere attivati per rimuovere le placche beta-amiloidi responsabili del declino cognitivo nell’Alzheimer. Manipolando la proteina Sox9, un regolatore chiave di geni negli astrociti, gli scienziati hanno osservato come il suo aumento favorisca la pulizia delle placche e preservi le funzioni cognitive nei topi malati. Al contrario, la sua riduzione accelera la formazione delle placche.

Deneen sottolinea che, “potenziare la naturale capacità degli astrociti di ripulire il cervello potrebbe essere altrettanto importante quanto le attuali terapie che si concentrano sui neuroni o sulla prevenzione della formazione delle placche amiloidi.”
Nuove frontiere nella terapia e diagnosi dell’Alzheimer
Oltre a queste scoperte cellulari, la ricerca del 2025 si sta orientando verso approcci innovativi come la riparazione della barriera ematoencefalica (BBB), una struttura di difesa che separa il cervello dal sangue. Studi recenti hanno evidenziato come il deterioramento della BBB comprometta la capacità di eliminare sostanze tossiche come la beta-amiloide, favorendo la progressione della malattia. Un team internazionale ha sviluppato nanoparticelle bioattive in grado di stimolare un recettore chiave, il LRP1, per riattivare la capacità naturale di pulizia del cervello, ottenendo nei modelli murini una drastica riduzione delle placche e un recupero delle funzioni cognitive.
Parallelamente, si sta progredendo nella diagnosi precoce grazie all’identificazione di biomarcatori nel sangue, come la proteina tau fosforilata p-tau181, che permettono di distinguere l’Alzheimer da altre forme di demenza e di monitorarne la progressione con maggiore precisione.
Al momento, la gestione clinica si avvale di farmaci sintomatici, ma la molecola aducanumab, un anticorpo monoclonale che riduce le placche beta-amiloidi, rappresenta una promettente novità, sebbene destinata principalmente ai pazienti nelle fasi iniziali della malattia.
Va detto che la pandemia da COVID-19 ha influito negativamente sulla storia naturale dell’Alzheimer, aggravando i disturbi comportamentali nei pazienti a causa delle restrizioni sociali, come evidenziato da studi italiani coordinati dalla Società Italiana di Neurologia per le demenze.
Questi progressi scientifici offrono nuovi spunti per combattere l’Alzheimer, puntando non solo a eliminare le placche tossiche, ma a potenziare le difese naturali del cervello e migliorare la diagnosi precoce, con l’obiettivo di rallentare il declino cognitivo e migliorare la qualità di vita dei pazienti.




