Il morbillo non è una malattia del passato. E non riguarda più solo i bambini. In Italia, secondo un nuovo studio coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e dalla Fondazione Bruno Kessler (FBK) e pubblicato su The Lancet Infectious Diseases, quasi un italiano su dieci — il 9,2% della popolazione — non ha alcuna protezione contro il virus. È un dato che preoccupa gli epidemiologi, soprattutto perché a sostenere oggi la circolazione non sono le fasce infantili, ma i giovani adulti tra i 20 e i 40 anni.

Lo studio, basato sia sull’analisi di quasi 15.000 casi notificati tra il 2013 e il 2022 sia sulla ricostruzione delle catene di trasmissione, fotografa un cambiamento netto: il morbillo viaggia soprattutto attraverso gli adulti non vaccinati, che spesso diventano veicolo involontario verso i più piccoli. In un’Europa dove i casi stanno esplodendo — oltre 30.000 nel 2023, più di 35.000 nel 2024 — questa vulnerabilità italiana diventa un campanello d’allarme. E un invito a ripensare le strategie vaccinali.
Il morbillo corre tra i giovani adulti: la mappa del rischio
Per anni si è pensato che la scuola fosse il principale fulcro della trasmissione del morbillo. Lo studio ISS-FBK mostra un quadro diverso. Tra le catene di contagio analizzate, quasi un terzo (33%) coinvolge giovani adulti, che rappresentano sia una porzione significativa dei casi totali sia un vettore diretto verso i bambini sotto i 5 anni.
Il dato più rivelatore riguarda il contesto in cui avvengono i contagi: oltre il 35% delle trasmissioni secondarie avviene in famiglia, non nelle aule. Significa che il virus entra nelle case portato da adulti non immunizzati — spesso perché non hanno completato il ciclo vaccinale o non ricordano di aver ricevuto le due dosi necessarie.
Il problema è aggravato da un altro fattore chiave: quasi nove infezioni su dieci riguardano persone non vaccinate. Anche quando il loro status vaccinale è noto, emerge un quadro costante: chi non si è immunizzato rappresenta la grande maggioranza dei casi e dei focolai.
Per questo motivo gli esperti spiegano che le campagne concentrate solo sui bambini, pur fondamentali, non bastano più. Il morbillo sfrutta la “falla” generazionale degli adulti non vaccinati, cresciuti in un periodo di coperture non sempre omogenee e spesso incomplete.
Lo studio raccomanda misure chiare: campagne di recupero vaccinale per i 20-40enni, informazione mirata e controlli attivi sulle coperture regionali. Perché due dosi del vaccino MPR conferiscono una protezione del 97%, ma serve raggiungere una copertura ≥95% a livello locale per fermare focolai e trasmissioni continue.
Perché si rischiano nuove epidemie: l’Italia dentro un’ondata europea
Il problema italiano non vive in un vuoto. Fa parte di una tendenza continentale che sta preoccupando l’OMS e l’ECDC. Dopo il crollo fisiologico dei casi durante la pandemia — dovuto agli spostamenti limitati e alle chiusure — il morbillo è tornato con forza in tutta Europa: +30 volte i casi nel 2023 rispetto al 2022 e oltre 35.000 infezioni nel 2024, il numero più alto dal 1997.
Con un virus estremamente contagioso (capace di infettare fino al 90% dei non immuni esposti), basta un piccolo serbatoio di persone non protette per riaccendere i focolai. E quel serbatoio, in Italia, oggi ha una dimensione chiara: circa 9,2% della popolazione, con punte maggiori in alcune regioni.
Che cosa significa concretamente? Che il rischio di nuove epidemie è reale, soprattutto in contesti familiari o comunitari. Che i bambini troppo piccoli per essere vaccinati dipendono dalla protezione degli adulti attorno a loro. Che l’Italia, per posizione e mobilità, non è isolata dalla crescita dei casi europei.
Il morbillo non è solo un’eruzione cutanea: può causare polmoniti, encefaliti, ospedalizzazioni. E proprio per questo gli esperti ribadiscono l’unica strategia efficace: vaccinare chi non è protetto. Non solo i bambini, ma gli adulti nati negli anni in cui la copertura oscillava, o chi non ricorda di aver ricevuto le due dosi.
Il ritorno del morbillo non è un fenomeno misterioso: è il risultato diretto dei buchi vaccinali. Colmarli, oggi, significa proteggere non solo sé stessi, ma anche i più fragili. E impedire che un virus che potremmo controllare torni a circolare come trent’anni fa.






