La violenza sulle donne lascia tracce indelebili nel corpo e nella mente delle vittime, e oggi sappiamo che queste ferite si imprimono anche a livello genetico. In particolare, le donne che subiscono violenze mostrano modificazioni epigenetiche, cioè alterazioni nell’espressione dei geni senza modificare la loro sequenza, che possono condurre allo sviluppo di gravi disturbi psicologici e fisici nel tempo. È questo l’esito degli ultimi studi coordinati dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) con il progetto EpiWE – Epigenetica per le donne, che ha appena inaugurato la sua seconda fase multicentrica.
Violenza sulle donne, progetto EpiWE: le “cicatrici” genetiche della violenza
Il progetto EpiWE, sostenuto dal Ministero della Salute e dal Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (CCM), ha già coinvolto oltre cento donne vittime di violenza in regioni come Lazio, Lombardia, Campania, Puglia e Liguria. Attraverso la raccolta di campioni di sangue e l’analisi dell’epigenoma, i ricercatori hanno identificato modificazioni significative in alcuni geni legati alla risposta allo stress e alla plasticità neuronale. Queste “cicatrici molecolari” rappresentano un importante biomarcatore per comprendere gli effetti a lungo termine della violenza subita.
La coordinatrice del progetto, la dott.ssa Simona Gaudi, spiega che la violenza non altera la struttura del DNA ma ne modifica la funzionalità, un processo tuttavia potenzialmente reversibile. Lo studio infatti mira a monitorare nel tempo l’evoluzione di queste modificazioni epigenetiche, associandole a disturbi come il disturbo post-traumatico da stress (PTSD), la depressione e il rischio di subire ulteriori violenze.
Impatto sui minori e prevenzione integrata
Una novità cruciale è l’estensione del progetto anche ai minori che hanno assistito a episodi di violenza domestica, grazie a una collaborazione con la Regione Puglia. I primi dati indicano che quasi l’80% di questi ragazzi ha vissuto eventi traumatici significativi, con frequenti diagnosi di PTSD e depressione. Per loro è stato sviluppato uno specifico strumento digitale, EpiCHILD, per valutare e monitorare gli effetti del trauma.
L’ISS sottolinea l’importanza di attivare screening sistematici e interventi multidisciplinari che coinvolgano strutture sanitarie, servizi sociali e scuole, al fine di intercettare precocemente i segnali di sofferenza e prevenire l’insorgenza di patologie croniche. La raccolta di dati tramite questionari dedicati e prelievi ripetuti ogni sei mesi contribuirà a costruire una solida base scientifica per la definizione di politiche sanitarie specifiche e mirate.
Un appello alle donne: contribuire alla ricerca per il futuro
Per proseguire il lavoro di approfondimento, l’ISS ha lanciato un appello alle donne vittime di violenza affinché partecipino donando un campione di sangue. La partecipazione è fondamentale per ampliare il campione di studio, affinare la comprensione delle modificazioni epigenetiche e sviluppare strategie di prevenzione personalizzate.
Un video-appello, diffuso in ambienti sanitari e punti di aggregazione, invita le donne a contattare l’Istituto per contribuire a questa ricerca che vuole riscrivere la storia di chi ha subito violenza, aiutandole a riprendersi il futuro attraverso la scienza.
La violenza di genere si conferma quindi non solo un’emergenza sociale, ma anche una sfida sanitaria e scientifica che necessita di un approccio integrato, innovativo e centrato sulla persona.






