Un nuovo esperimento, durato sette anni, ha coinvolto 256 persone e ha offerto nuove prospettive sull’origine e l’ubicazione della coscienza
La questione dell’origine della coscienza ha da sempre affascinato filosofi e scienziati, ma un recente studio condotto negli Stati Uniti ha fatto un significativo passo avanti nel cercare di comprendere questo misterioso fenomeno. La ricerca, pubblicata sulla prestigiosa rivista Nature, ha coinvolto un campione di 256 persone, un numero senza precedenti per questo tipo di studi, e ha messo a confronto due teorie fondamentali sulla coscienza. I risultati potrebbero avere importanti implicazioni nella diagnosi e nel trattamento di condizioni come il coma.
La nuova prospettiva sulla coscienza
Contrariamente a quanto si pensasse in precedenza, la coscienza non risiede nella corteccia prefrontale, area del cervello nota per il ragionamento e la pianificazione. Potrebbe derivare, invece, dalle complesse interazioni tra le aree visive posteriori e le aree frontali, che trasformano le percezioni in pensieri. Questa scoperta suggerisce che la coscienza possa emergere non da una singola area del cervello, ma piuttosto dalla rete di connessioni tra diverse zone cerebrali.
Le teorie in competizione
Le due teorie principali esaminate nello studio sono l’ipotesi dell’informazione integrata, proposta dal neuroscienziato italiano Giulio Tononi, e la teoria dello spazio di lavoro globale. La prima sostiene che la coscienza è il risultato dell’integrazione delle informazioni all’interno del cervello, mentre la seconda la descrive come un palcoscenico in cui i processi inconsci si alternano sotto la luce dell’attenzione consapevole. Queste due visioni, pur essendo in competizione, non possono essere definitivamente confermate o smentite dai risultati attuali, lasciando aperte molte domande.
Implicazioni per la medicina
Un aspetto cruciale della ricerca è la sua potenziale applicazione nella medicina. Identificare la “coscienza nascosta” in pazienti non reattivi, che rappresentano circa il 25% dei casi di coma, potrebbe rivoluzionare il modo in cui i medici valutano lo stato di coscienza. Questo approccio consentirebbe di scoprire segni di attività mentale anche quando i pazienti non mostrano risposte evidenti, migliorando notevolmente le strategie terapeutiche e le decisioni cliniche.
Anil Seth, dell’Università del Sussex e uno degli autori dello studio, sottolinea che né l’ipotesi dell’informazione integrata né quella dello spazio di lavoro globale possono essere considerate definitive. I metodi attualmente disponibili per testare queste teorie rimangono rudimentali. Questo studio, quindi, non solo apre nuove strade nella comprensione della coscienza, ma invita anche a riflettere sulla complessità del cervello umano e sulle sue infinite capacità.






