Giorgia Meloni sceglie la prudenza e, almeno per ora, resta lontana dalla stretta proposta dalla Lega sugli scioperi e sui cortei. La premier osserva, ascolta, ma in pubblico mantiene il silenzio sulla mobilitazione della Cgil per Gaza e per la Flotilla. Con i suoi parla di “operazione politica“, spartito che i componenti di Fratelli d’Italia ripetono per tutta la giornata.
Il silenzio della premier Giorgia Meloni
Per ventiquattr’ore Giorgia Meloni evita di infilarsi nella polemica. Ma, secondo alcuni ministri, durante l’ultimo Consiglio dei ministri avrebbe preso la parola subito dopo l’informativa di Matteo Salvini sugli scioperi. In quell’occasione, avrebbe formulato una richiesta precisa: “Fatemi sapere quali sono i costi esatti. Poi sarò io a parlarne agli italiani“. Una postilla che lascia intravedere un futuro inasprimento dei toni e che, nella cerchia della leader, viene interpretata come il segnale di una campagna più serrata contro la Cgil di Maurizio Landini.
Per ora, l’azione di FdI si concentra sugli attacchi verbali e su dichiarazioni a tamburo battente. A sostegno, l’ufficio studi di via della Scrofa, braccio operativo della comunicazione guidata dal sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, lavora a dossier e materiali mirati. Una pressione crescente, ma ancora lontana da misure legislative concrete.
La linea dura della Lega
Diversa la posizione del Carroccio da quella di Giorgia Meloni, che da settimane chiede una svolta concreta. Già dopo le manifestazioni di fine settembre, segnate da incidenti alla stazione centrale di Milano, la Lega aveva ipotizzato di introdurre “cauzioni” da imporre agli organizzatori dei cortei: una sorta di caparra per coprire eventuali danni. Una misura che, però, non sempre colpirebbe i veri responsabili, spesso individuati in gruppi autonomi estranei agli organizzatori. Ora Salvini rilancia con un secondo passo: aumentare in modo drastico le sanzioni per gli scioperi ritenuti illegittimi dall’autorità garante.
Il leader leghista ha ricordato che le multe oggi variano tra i 2.500 e i 50mila euro, in base a una normativa che risale al 1990. L’idea allo studio è quella di portare il minimo a 10mila euro e il massimo fino a un milione. L’entourage del ministro dei Trasporti sta valutando le modalità: l’opzione preferita sarebbe un decreto del governo, mentre l’alternativa resta un disegno di legge parlamentare. Nel pacchetto verrebbero considerate sia le cauzioni che le maxi-multe, con possibili esenzioni lasciate alla discrezione del Viminale.
Il nodo degli alleati
Tutto dipenderà dall’intesa nella maggioranza. Dopo il Consiglio dei ministri, Meloni e Salvini ne hanno discusso con Antonio Tajani e Carlo Nordio. Un confronto rapido, ma sufficiente a segnare differenze di linea. Forza Italia ha già bocciato l’ipotesi delle cauzioni, mentre resta più aperta sul fronte delle sanzioni. “Se la Cgil trasforma gli scioperi, che sono sacrosanti, in una baracconata, qualcosa si dovrà pur fare“, ha dichiarato il portavoce azzurro Raffaele Nevi.
E Giorgia Meloni? Secondo i suoi collaboratori, la premier si sarebbe mostrata scettica sulla possibilità di introdurre cauzioni, ritenute difficili da sostenere anche dal punto di vista giuridico. Diverso il discorso sulle sanzioni, che la leader di FdI non esclude a priori. Prima, però, vuole avere in mano i dati reali: “i costi”. Solo allora, assicurano i suoi, sarà lei a rivolgersi direttamente agli italiani.






