Il governo di Giorgia Meloni, proprio in queste ore, si trova al centro di un acceso dibattito sul diritto internazionale. Le parole sulla Global Sumud Flotilla della premier e di Matteo Salvini – per citare solamente i protagonisti principali –, infatti, ha aperto la strada alle critiche di chi fa notare le differenze rispetto a quanto detto sempre da loro in occasione dell’arresto dei ben noti marò in India. Le due vicende offrono un confronto sulle scelte e sulle dichiarazioni della presidente del Consiglio e dei suoi alleati di governo nel corso degli anni. Sono semplicemente casi diversi o le loro posizioni sono cambiate? Ecco la verità.
Il caso dei marò
Nel 2012 due fucilieri di marina italiani a bordo della petroliera Enrica Lexie furono accusati di aver ucciso due pescatori indiani al largo delle coste del Kerala. L’incidente scatenò una lunga disputa legale tra Italia e India sul tema della giurisdizione e dell’immunità dei militari italiani.
All’epoca, Meloni, allora all’opposizione, sostenne fermamente che i militari dovessero essere giudicati in Italia. Riferendosi al luogo dell’incidente, dichiarò: “Il fatto è avvenuto in acque internazionali, su una nave battente bandiera tricolore. Quindi territorio italiano”. La posizione sottolineava la sovranità nazionale e il diritto dei cittadini italiani a essere giudicati secondo le leggi italiane, indipendentemente dal Paese in cui si trovavano.
Dopo anni di contenzioso, il caso si concluse formalmente nel 2021 con un risarcimento alle famiglie delle vittime, chiudendo un lungo capitolo nelle relazioni diplomatiche tra Roma e New Delhi.
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La Global Sumud Flotilla
A oltre un decennio di distanza, l’Italia si trova coinvolta in una vicenda internazionale molto diversa: la Global Sumud Flotilla, organizzata per rompere il blocco navale israeliano su Gaza e portare aiuti umanitari alla popolazione della Striscia.
Meloni ha definito l’iniziativa “una provocazione politica”, accusando gli attivisti di avere “intenti destabilizzanti” e di cercare “strumentalizzazioni ostili”. La flottiglia, composta da oltre 50 imbarcazioni provenienti da 44 Paesi, è stata intercettata dalla Marina israeliana sempre in acque internazionali. Ed è proprio su questo punto che i contestatori del governo si sono appigliati.
Coerenza e contraddizioni di Giorgia Meloni: quali sono le differenze tra marò e Flotilla?
Nel primo caso, infatti, chi ricordava che l’incidente fosse avvenuto in acque indiane, Meloni replicava con decisione: “No, il fatto è avvenuto in acque internazionali, su una nave battente bandiera tricolore. Quindi territorio italiano”. Due anni dopo, nel 2014, rincarava la dose definendo i governi che avevano gestito la vicenda “governi di eunuchi che vivono su un altro mondo”.
Non era un caso isolato. Su migranti, ONG e salvataggi in mare, la premier ha sempre ribadito che “bisogna rispettare il diritto internazionale”. Lo stesso principio è stato richiamato in occasione dell’invasione russa dell’Ucraina, quando Fratelli d’Italia dichiarò: “Il rispetto del diritto internazionale è alla base della convivenza pacifica tra gli Stati”, condannando il riconoscimento unilaterale delle repubbliche separatiste del Donbass da parte di Mosca.
Un quadro che stride con le parole pronunciate pochi giorni fa dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, ospite a Porta a Porta, sulla vicenda della Global Sumud Flotilla: “Il diritto internazionale è importante, ma fino a un certo punto”.
Un’affermazione che non passa inosservata. Anche perché le imbarcazioni della Flotilla battenti bandiera italiana – con cittadini italiani a bordo – sono state fermate da un altro Stato mentre si trovavano in acque internazionali. Proprio quel contesto che, ai tempi dei marò, Meloni rivendicava come territorio italiano a pieno titolo.
La contraddizione solleva inevitabilmente un interrogativo politico: il diritto internazionale è davvero un principio irrinunciabile per il governo, o una regola da applicare a seconda delle convenienze geopolitiche?






