Milano, 28 agosto 2025 – Irene Pivetti, ex presidente della Camera dei Deputati, torna a parlare della sua vita dopo la politica, segnata da difficoltà economiche e vicende giudiziarie che hanno profondamente influenzato la sua immagine pubblica e personale. In un’intervista esclusiva al “Giornale”, Pivetti si è raccontata con estrema sincerità, toccando temi delicati come la perdita degli amici, la crisi finanziaria e i nuovi guai legali legati alla fornitura di mascherine durante la pandemia da COVID-19.
La caduta e la rinascita: da presidente della Camera alla Caritas
Eletta presidente della Camera a soli 31 anni, nel 1994, Pivetti è stata la più giovane a ricoprire questo ruolo nella storia italiana. Dopo la fine della carriera politica, però, la sua vita ha preso una piega drammatica. Ha subito una condanna a quattro anni per evasione fiscale e autoriciclaggio in relazione a una controversa vendita di auto di lusso in Cina. Successivamente, come ha rivelato, ha vissuto momenti di grande difficoltà economica, arrivando a svolgere lavori umili.
Durante il lockdown, ha raccontato di essersi rivolta alla Caritas di San Vincenzo per ritirare pacchi alimentari, un’esperienza che ha definito “umiliante ma necessaria”. La svolta è arrivata grazie a una cooperativa sociale di ex detenuti, Mac Servizi, con cui ha iniziato a collaborare prima come volontaria e poi come lavoratrice retribuita. “Avevo i soldi per mangiare. Sarò sempre riconoscente a loro che mi hanno teso una mano in un momento in cui tutti la ritraevano”, ha dichiarato.
Nuove accuse e il sequestro di mascherine: un processo ancora aperto
Negli ultimi anni, Pivetti è tornata sotto i riflettori per un nuovo procedimento giudiziario legato alla fornitura di mascherine durante la pandemia. La sua azienda, Only Italia Logistic, è stata coinvolta in un’inchiesta per frode in pubbliche forniture. Nell’aprile 2020, le autorità hanno sequestrato oltre un milione e trecentomila mascherine ritenute “non idonee” e “pericolose” perché incapaci di garantire un’adeguata protezione dal virus. Il gip di Busto Arsizio ha sottolineato che tali dispositivi rappresentano il corpo del reato e avrebbero potuto causare gravi conseguenze se immessi sul mercato.
Pivetti ha sempre negato ogni addebito, sostenendo di non aver commesso alcun illecito e lamentando la distruzione della sua immagine e la paralisi economica che ne è derivata. Ha denunciato il sequestro dei suoi conti correnti e anche il blocco di una carta Postepay contenente appena un euro e nove centesimi, simbolo della sua condizione di “appestata” a cui nessuna azienda voleva più affidare consulenze.
Il rapporto con la giustizia e il senso dello Stato
Nonostante tutto, Pivetti ha raccontato di non aver mai perso il suo “senso dello Stato”. Ha descritto la macchina giudiziaria italiana come una “macelleria” che spesso sacrifica vite umane anziché perseguire la verità. Ha criticato l’assenza della presunzione di innocenza, sostituita da un presupposto di colpevolezza che trasforma chi è indagato in un “essere perverso” agli occhi dell’opinione pubblica.
La sua amarezza si estende anche agli amici che l’hanno allontanata, ma senza rancore: “Umanamente li comprendo, perché la macchina giudiziaria fa troppa paura”. Guardando al futuro, Pivetti ha detto di essere pronta ad affrontare qualsiasi esito del processo, anche la possibilità di un carcere o di un procedimento che potrebbe durare più della sua vita biologica. “Ho deciso di non aspettare per tornare alla vita. Devo vivere oggi”, ha dichiarato con determinazione.
Tra le riflessioni emerse, un invito ai giovani a recuperare il senso dello Stato, un valore che, secondo lei, l’Italia continua a dover coltivare per superare le difficoltà attuali e future.

