La Corte d’appello di Brescia ha confermato la condanna di primo grado a un anno e tre mesi di reclusione nei confronti di Piercamillo Davigo. Si tratta dell’appello bis dopo che la Corte di Cassazione aveva annullato con rinvio la parte di condanna relativa alla rivelazione del segreto a terzi, disponendo un nuovo giudizio d’appello.
Conferma della sentenza in appello bis
La decisione della Corte d’appello di Brescia riafferma la responsabilità di Davigo per il reato di rivelazione di segreto d’ufficio. L’ex magistrato, componente del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) al momento dei fatti, è stato ritenuto colpevole di aver fatto circolare nel 2020 all’interno del CSM alcuni verbali coperti da segreto, relativi al cosiddetto “caso Amara”. Tale vicenda riguardava documenti segreti contenenti accuse non confermate su una presunta organizzazione segreta denominata “Ungheria”, che avrebbe influenzato la vita politica e giudiziaria italiana.
Il materiale fu consegnato a Davigo dal pubblico ministero milanese Paolo Storari, in un contesto di dissenso interno alla Procura di Milano riguardo alla gestione dell’inchiesta. L’ex magistrato ha sempre sostenuto che la sua condotta fosse ispirata esclusivamente al ripristino della legalità e che non avesse arrecato danno alle indagini, ma la giustizia ha ritenuto diversamente.
Le reazioni della difesa di Davigo
L’avvocato difensore di Davigo, Davide Steccanella, ha annunciato la presentazione di un ulteriore ricorso, sottolineando la convinzione che il suo assistito abbia agito con l’intento di tutelare la legalità e che l’intervento fosse stato sollecitato da Storari stesso.
La condanna definitiva riguarda la fase iniziale dell’accusa, mentre la Cassazione ha disposto il rifacimento del processo di appello per la parte relativa alla divulgazione dei verbali a soggetti terzi. La pena complessiva dovrà pertanto essere rideterminata.
Questa vicenda si inserisce in un contesto più ampio di dibattito sull’etica e la responsabilità dei magistrati, soprattutto alla luce del fatto che Davigo continua a svolgere la funzione di giudice tributario, nonostante la condanna definitiva.






