Con 112 voti favorevoli, 59 contrari e 9 astensioni, il Senato ha dato il via libera definitivo alla riforma della giustizia che introduce la separazione delle carriere dei magistrati nella Costituzione. Con questo voto si conclude il lungo percorso parlamentare previsto per le modifiche costituzionali, aprendo ora la strada al referendum confermativo.
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha presentato la consultazione come una scelta di democrazia diretta, invitando gli italiani a pronunciarsi su un tema cruciale per il Paese. «Chi pensa che nella giustizia vada tutto bene voterà no, chi crede che possa essere migliorata voterà sì», ha dichiarato, definendo il voto «un’occasione storica per una giustizia più giusta».
Verso il referendum sulla separazione delle carriere
A differenza del referendum abrogativo, quello confermativo non prevede quorum: vincerà chi riuscirà a mobilitare più elettori, in un momento in cui la partecipazione alle urne è in costante calo. La consultazione si preannuncia come un nuovo terreno di scontro politico e istituzionale.
Il dibattito, infatti, non si limita ai partiti. L’Associazione Nazionale Magistrati (Anm) ha già annunciato la creazione di un comitato per il No, mentre il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha auspicato un confronto sul merito della riforma, invitando la magistratura a non schierarsi con l’opposizione. Il Guardasigilli ha anche proposto un dibattito televisivo con i rappresentanti dell’Anm, sottolineando la volontà del governo di collaborare alla stesura delle future leggi di attuazione.
Tensioni in Aula sulla riforma della giustizia
La seduta a Palazzo Madama sulla riforma della giustizia si è svolta in un clima complessivamente ordinato, ma non sono mancati momenti di tensione. Le parole dell’ex magistrato Roberto Scarpinato (M5S), che ha negato che figure come Berlusconi, Previti e Dell’Utri fossero state “perseguitate” dalla magistratura, hanno provocato proteste dai banchi del centrodestra.
Nella tribuna, invitati da Forza Italia, erano presenti anche tre cittadini vittime di errori giudiziari, un segnale dei temi che probabilmente caratterizzeranno la campagna referendaria. Dall’altra parte, le opposizioni hanno mostrato cartelli con la scritta “No ai pieni poteri”, anticipando lo slogan della loro campagna contro la riforma.
Le reazioni politiche e istituzionali
Le parole di Giorgia Meloni e l’approvazione della riforma hanno acceso il confronto politico. La segretaria del Partito Democratico Elly Schlein ha accusato la premier di voler “mani libere” nei confronti della magistratura, richiamando anche le critiche del governo alla Corte dei Conti per il recente stop al progetto del Ponte sullo Stretto. Sulla stessa linea l’ex premier Giuseppe Conte, che ha parlato di un «tentativo di concentrare i pieni poteri».
Forza Italia ha rivendicato la riforma come una vittoria simbolica dedicata a Silvio Berlusconi. In piazza Navona il partito ha organizzato una manifestazione con immagini e bandiere in suo onore. «Quella di oggi è la vittoria di mio padre», ha dichiarato Marina Berlusconi. Anche la Lega ha celebrato l’approvazione, ricordando i referendum abrogativi promossi tre anni fa sullo stesso tema, che però non raggiunsero il quorum.
L’appello di Nordio e le critiche dell’Anm
Il ministro Nordio ha espresso l’auspicio che la prossima campagna referendaria sia basata sul confronto civile e non sulla contrapposizione politica. Tuttavia, le toghe mantengono una posizione critica. La giunta dell’Anm ha denunciato una «insofferenza del governo per i controlli», affermando che la riforma «altera l’equilibrio dei poteri disegnato dai costituenti e mette a rischio il principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge».
In un quadro di schieramenti già ben definiti, non mancano posizioni inattese. L’ex magistrato Antonio Di Pietro ha annunciato il proprio sostegno alla riforma, dichiarandosi pronto a fare campagna a fianco di Forza Italia, lo stesso partito che in passato aveva aspramente criticato.
Una riforma della giustizia destinata a segnare la legislatura
Il governo considera l’approvazione della riforma un passaggio politico decisivo e un segnale di coesione della maggioranza. Il referendum confermativo, previsto per la prossima primavera, si preannuncia come una delle sfide più significative del 2026.
Per Meloni, si tratta di un banco di prova che va oltre la giustizia: una consultazione in grado di misurare il consenso popolare sul progetto politico dell’esecutivo. Qualunque sarà l’esito, il dibattito sulla separazione delle carriere segnerà in modo profondo la relazione tra politica e magistratura nei prossimi anni.
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