Il voto fuorisede torna al centro del dibattito politico grazie a una mobilitazione dal basso che ha superato le 50.000 firme certificate, sufficienti per depositare al Senato una proposta di legge di iniziativa popolare. È la reazione civile a un tema rimasto bloccato nonostante una delega approvata alla Camera nel 2023 e mai discussa a Palazzo Madama. A guidare questo percorso è The Good Lobby, piattaforma di partecipazione civica che negli ultimi mesi ha trasformato un problema strutturale in una pressione politica imponente.
Secondo Yari Russo, tra i promotori dell’iniziativa, il successo della raccolta firme è “la prova che questo non è un tema generazionale o ideologico, ma un diritto costituzionale che i cittadini vogliono vedere garantito”, le sue parole ai microfoni di Newzgen.
“L’attivismo è cambiato: protesta e proposta devono camminare insieme”
L’impegno sul voto fuorisede mostra un fenomeno più ampio: una nuova forma di partecipazione civica, soprattutto tra i più giovani. Russo lo definisce un attivismo “più pragmatico, più competente, più orientato ai risultati”: non solo piazza, ma anche elaborazione tecnica, dialogo istituzionale, coalizioni tra mondi diversi.
“Spesso si dice che i giovani non partecipano, ma non è vero. Partecipano in modi nuovi” spiega. “Sono solo il 21% del corpo elettorale e devono trovare forme più efficaci per essere ascoltati. Unire protesta e proposta è l’unica strada”.
Perché la politica si è fermata? Russo: “Nel vuoto, i cittadini si sono organizzati”
La lentezza istituzionale ha spinto le realtà civiche ad agire autonomamente. Alla domanda sulle responsabilità della politica, Russo risponde con cautela ma in modo netto: “Sì, c’è stata una mancanza. Ma la mobilitazione dal basso dimostra che i cittadini possono colmare quel vuoto. È un segnale di speranza”.
Il tema incontra resistenze dovute anche alla complessità organizzativa del voto fuorisede, ai costi e a un certo timore non dichiarato di modificare il bacino elettorale. Le sperimentazioni pilota hanno mostrato che i giovani fuori sede sono un elettorato “più politicizzato”, un dato che ha generato prudenza.
Coalizioni trasversali: la chiave per arrivare a 50.000 firme
Il risultato non sarebbe stato possibile senza il lavoro congiunto di associazioni studentesche, sindacati, organizzazioni civiche, reti di volontariato e realtà sportive. Russo lo definisce “l’insegnamento più importante”: “Bisogna parlare con tutti, anche con chi la pensa diversamente. La forza sta nel costruire una coalizione larga”.
Un modello che avvicina l’Italia alle pratiche dei movimenti civici del Nord Europa, fondati su competenze, dialogo e obiettivi misurabili.
Cosa chiedono davvero i giovani: non solo voto
Il voto fuorisede è una battaglia-simbolo, ma non l’unica. Russo elenca una varietà di istanze che oggi animano la partecipazione: ambiente, diritti, femminismo, costo della vita, rapporto vita-lavoro, mobilità sociale. Ma aggiunge un punto decisivo: “La priorità assoluta deve essere riportare le persone a votare. Con un astensionismo oltre il 50%, la democrazia italiana ha un problema strutturale”.
The Good Lobby diventerà mai un partito? Russo è categorico
“No. The Good Lobby è e resterà apartitica. Lavorare dall’esterno ci dà credibilità e capacità di incidere”.
Il 2026 sarà l’anno chiave
La proposta di legge approderà in Senato nel 2025, ma il 2026 – tra possibili elezioni politiche, amministrative e referendum – potrebbe essere il momento decisivo per un’eventuale riforma del voto fuorisede.
Per la prima volta, la politica è chiamata a confrontarsi con un movimento civico che chiede non privilegi, ma diritti costituzionali garante della rappresentanza.
