Il “semestre filtro” per l’accesso a Medicina, introdotto dalla riforma voluta dalla ministra Anna Maria Bernini, continua a far discutere e a dividere. A dare voce al malessere di molti studenti è Leonardo Dimola, diventato noto dopo aver contestato pubblicamente la ministra durante l’evento di Atreju. La sua, come spiegato ai microfoni di Newzgen, non è una protesta isolata, ma il riflesso di una tensione diffusa tra migliaia di ragazzi che, dopo mesi di studio, temono di aver investito tempo ed energie senza alcuna garanzia.
Cos’è davvero il semestre filtro Medicina e perché preoccupa gli studenti
Il nuovo sistema posticipa di fatto il numero chiuso: gli aspiranti medici frequentano un primo periodo di lezioni e poi affrontano tre esami a crocette su materie fondamentali. Il problema, racconta Dimola, nasce subito: lezioni in condizioni precarie, materiali di preparazione carenti e nessun esempio ufficiale di prova. Ma la criticità più forte riguarda le conseguenze di un singolo errore: chi non raggiunge il 18/30 anche in una sola prova perde l’intero anno accademico, senza poter accedere nemmeno ai corsi affini.
Secondo lo studente, questo meccanismo annulla di colpo mesi di lavoro e sacrifici economici, trasformando il semestre filtro in una sorta di “lotteria” più che in uno strumento di selezione equa.
Il confronto con la ministra e le accuse di mancanza di chiarezza
Durante la contestazione ad Atreju, la ministra Bernini ha negato che basti un’insufficienza per perdere l’anno. Ma Dimola ribatte che nei decreti ufficiali attualmente in vigore non esiste alcuna sanatoria. L’ipotesi di un correttivo, secondo lui, sarebbe emersa solo per evitare di lasciare vuoti i posti disponibili a Medicina.
La risposta politica non ha convinto gli studenti, soprattutto quando la protesta è stata liquidata come ideologica. Per Dimola, si tratta di un modo per evitare il confronto nel merito di una riforma che incide pesantemente sulla vita di migliaia di giovani.
Lo stress psicologico: “Molti ragazzi stanno male”
Oltre agli aspetti tecnici, c’è un impatto emotivo che pesa ogni giorno. Dimola parla di stress continuo, ansia e paura di buttare via un anno, tanto che diversi studenti hanno dovuto ricorrere a un supporto psicologico. Non è lo stress dello studio in sé, ma quello dell’incertezza totale: studiare senza sapere se il percorso avrà uno sbocco reale.
Una situazione che appare paradossale in un Paese in cui il diritto allo studio è sancito dalla Costituzione, ma che nella pratica sembra trasformarsi in una penalizzazione per chi prova ad accedere a una facoltà complessa e selettiva come Medicina.
Perché la protesta è esplosa proprio ad Atreju
La scelta di contestare la ministra in pubblico non nasce dal desiderio di visibilità. Secondo Dimola, da mesi gli studenti non avevano alcun canale di dialogo con il Ministero, né tramite le rappresentanze universitarie né attraverso incontri ufficiali. La riforma, racconta, è stata varata in tempi rapidi e senza un confronto reale con chi ne sarebbe stato direttamente colpito.
L’obiettivo della protesta era semplice: chiedere alla ministra di incontrare gli studenti e ascoltare le loro richieste. Una richiesta rimasta, per ora, senza risposta concreta.
Quali alternative restano agli studenti
Le opzioni sul tavolo sono poche e tutte complicate. Si valuta un ricorso collettivo, come già avvenuto in passato, oppure l’iscrizione a facoltà affini sperando di convalidare qualche esame in futuro. In alternativa, c’è chi pensa di fermarsi o cercare un lavoro. Secondo Dimola, manca completamente una strategia di accompagnamento per chi resta escluso dal semestre filtro.
L’errore strutturale della riforma
Per lo studente, il problema di fondo è chiaro: una riforma fatta senza investimenti strutturali e senza collegare davvero università e sistema sanitario. Formare nuovi medici, sostiene, ha senso solo se il sistema è in grado di accoglierli e valorizzarli. Altrimenti, il rischio è creare un percorso selettivo che produce frustrazione invece di risposte.
Il semestre filtro, così com’è, rischia di diventare non una soluzione al numero chiuso, ma un nuovo ostacolo sul cammino di chi sogna di diventare medico. E la protesta di Leonardo Dimola potrebbe essere solo l’inizio.
