A quasi due anni dall’inizio della nuova escalation a Gaza, la questione israelo-palestinese resta il nodo più drammatico e irrisolto del panorama internazionale. Migliaia di vittime, città distrutte, vite sospese tra assedio e disperazione. Ma anche una nuova consapevolezza politica che, lentamente, si fa spazio dentro e fuori la Striscia.
Ne ha parlato ai microfoni di Newzgen Saif Eddine Abouabid, rappresentante della Comunità Islamica Italiana, che ha analizzato il ruolo di Hamas, le responsabilità della comunità internazionale e la possibilità — oggi più concreta che mai — di una pace definitiva.
“Chi celebra il 7 ottobre non rappresenta l’Islam”
“Chiunque celebri il 7 ottobre come un crimine o un massacro di civili mi troverà sempre come avversario” afferma Abouabid, prendendo le distanze da ogni forma di esaltazione dell’attacco contro Israele.
“Quelle manifestazioni — spiega — non glorificano l’uccisione di innocenti, ma ricordano il gesto di un popolo che, dopo 75 anni di occupazione, ha scelto la resistenza. Una guerra contro Israele, non contro i civili israeliani”.
Il portavoce invita a distinguere tra condanna morale e comprensione politica: “Hamas è stata votata democraticamente da due milioni di palestinesi a Gaza. L’ONU non la considera un’organizzazione terroristica, ma un movimento di resistenza legittimo”.
Hamas e il popolo palestinese: un legame che va oltre la politica
Per Abouabid, il rapporto tra Hamas e la popolazione di Gaza non è solo politico, ma identitario. “Gli esponenti di Hamas sono palestinesi nati e cresciuti sotto occupazione, tra prigionia, espropri e bombardamenti.
Rappresentano la risposta armata di un popolo a cui sono stati negati diritti fondamentali”.
A Gaza, continua, “molti continuano a sostenere la resistenza, mandando i figli a combattere. Non perché amano la guerra, ma perché vedono nel sacrificio l’unico modo per difendere la terra e l’onore”.
“Settantamila morti non sono una novità”
Sulle vittime civili, il rappresentante della Comunità Islamica usa parole dure: “Per i palestinesi, i 70.000 morti non sono una novità, ma una tragica normalità. La popolazione vive la guerra come un destino imposto, non scelto. L’Occidente si è accorto solo ora dell’entità della tragedia”.
L’ondata di manifestazioni globali e la crescente mobilitazione in Italia, secondo Abouabid, “sono un segnale di rabbia, ma anche di speranza: la gente comune ha capito che la questione palestinese non è più un tema lontano, ma una ferita del nostro tempo”.
Hamas, Hezbollah e Houthi: “Tre mondi diversi”
Abouabid chiarisce anche un punto spesso confuso nel dibattito internazionale: “Hamas non è Hezbollah né gli Houthi. La resistenza palestinese nasce dal diritto all’autodeterminazione riconosciuto dal diritto internazionale. Hezbollah e gli Houthi, invece, sono minoranze sciite con obiettivi regionali e geopolitici. Confondere i tre fronti è un errore che serve solo a giustificare la repressione”.
“Hamas pronta a consegnare le armi se nascerà uno Stato palestinese”
La parte più sorprendente dell’intervista arriva alla fine: “Credo che Hamas stessa sia intenzionata a non esistere più. Il suo scopo non è perpetuare la guerra, ma arrivare a un punto in cui non ci sia più bisogno di resistere. Se nascerà uno Stato palestinese sovrano e legittimo, Hamas consegnerà le armi”.
Abouabid parla di un “momento storico irripetibile”, dove convergono l’attenzione dell’ONU, le pressioni delle potenze occidentali e — persino — l’ambizione di Donald Trump “di essere ricordato come l’uomo che ha risolto la guerra infinita”.
“La pace sarà possibile solo se sarà giusta — conclude —. Altrimenti, continueremo a vedere le stesse tragedie ripetersi, solo con nomi diversi.”






