Matteo Pelusi, uno dei volti più noti e seguiti nel panorama dei content creator italiani, racconta a Newzgen la sua evoluzione da semplice ragazzo che sperimentava video per gioco a figura di riferimento nel mondo dei social media e protagonista televisivo. Un percorso che nasce quasi per caso, ma che oggi si fonda su autenticità, passione e una profonda consapevolezza personale.
Da punizione scolastica a fenomeno digitale
Matteo Pelusi ha iniziato il suo viaggio nel mondo del web durante un momento difficile della sua vita: “Ho perso il secondo anno di scuola superiore ed ero in punizione a casa. L’unica cosa che avevo era il computer, e lì ho scoperto la potenzialità di questo mezzo”. I suoi primi video, semplici esperimenti come l’esperimento con Coca-Cola e Mentos, erano destinati solo agli amici. Ma la vera svolta è arrivata tra il 2015 e il 2016, quando una televisione regionale piemontese ha notato il suo talento, aprendo le porte a Mediaset e alla conduzione di un programma su Italia 2. “Sono stato un pioniere – confessa Pelusi – in un momento in cui pochi facevano questo mestiere, e la costanza è stata fondamentale”.
Autenticità e divertimento come chiavi del successo
Nel panorama attuale, dove la concorrenza sui social è altissima, Matteo sottolinea l’importanza di distinguersi: “Oggi o hai un’idea super originale o rischi di omologarti”. La sua fortuna è stata iniziare senza ambizioni lavorative, semplicemente per divertimento. “TikTok è meritocratico: un video ben fatto può diventare virale, ma non è detto che questo ti renda subito un creator di successo”. A chi aspira a intraprendere questa strada, consiglia soprattutto di divertirsi durante la creazione dei contenuti: “Quando un video nasce dalla voglia di fare, ha una ‘vibe’ diversa e le persone percepiscono l’autenticità”.
Il rapporto con l’ansia e il valore terapeutico dei viaggi
Con oltre un milione di follower, la pressione di dover produrre costantemente contenuti è inevitabile, ma Matteo affronta la sua ansia con onestà: “Vivo di ansia, come il 60-70% della nostra generazione. I social spesso ricreano una vita irreale. Ho avuto periodi difficili e ho trovato supporto psicologico”. Per lui, i viaggi di gruppo rappresentano una vera e propria terapia, un modo per liberarsi dalla maschera sociale e trovare nuove energie. “L’ansia da prestazione è sempre presente perché sono ‘malato di miglioramento’, ma cerco di fermarmi, ascoltarmi e capire che ciò che ho raggiunto è già abbastanza”.
Il viaggio assume anche un significato profondo di crescita personale: “Viaggiare, soprattutto da soli, ti dà un senso di responsabilità enorme e ti fa superare la paura di non farcela. Ho visitato posti critici dal punto di vista istituzionale e il Marocco, dove l’accoglienza è incredibile, è diventato per me una seconda casa. Viaggiare apre davvero nuovi orizzonti e abbassa ogni pregiudizio”.
Tra i tanti ricordi indelebili, Matteo cita un momento di condivisione semplice ma intenso: “In Marocco siamo stati invitati a casa di una signora che ha cucinato il couscous per tutti noi. È stato un gesto di grande umanità e calore. Spesso sono più i momenti vissuti con le persone che i luoghi a restare impressi”.
Libertà creativa e responsabilità nel mondo del travel content
Pelusi si definisce versatile e ama sperimentare nuovi format, pur mantenendo una forte connessione con i contenuti di viaggio: “Il web ti permette di fare tutto, quindi provo a espandermi anche in altri ambiti, come un format con il mio cane per nuove collaborazioni. Non voglio essere rinchiuso in un solo genere, anche se il travel è il mio punto di forza”.
Sulla figura del travel blogger o travel content creator, Matteo non nutre risentimenti: “Tutti copiamo da tutti, è inevitabile. Quello che invece mi sta a cuore è il rispetto per i luoghi che visitiamo. In Islanda, ad esempio, evito di taggare esattamente le cascate, per non contribuire all’overtourism. È una sorta di deontologia del creator: non si tratta solo di visibilità, ma di riflettere sull’impatto delle nostre azioni”.






