Convivere senza matrimonio è sempre più comune, ma quali diritti hanno davvero le coppie di fatto non registrate? Ecco la verità spiegata da un punto di vista legale.
Negli ultimi anni, il numero di persone che scelgono di convivere senza sposarsi o senza registrare formalmente la propria unione è cresciuto in modo costante. Si tratta di una decisione personale e perfettamente lecita, spesso motivata da ragioni economiche, pratiche o semplicemente dal desiderio di libertà. Tuttavia, in Italia, la convivenza non registrata è ancora un terreno giuridico fragile, privo di una disciplina completa e coerente.
Questo significa che, in caso di malattia, separazione o decesso, il partner non registrato rischia di trovarsi senza tutela, salvo interventi preventivi tramite atti scritti o notarili.
La convivenza non registrata: cosa significa in termini legali
Il codice civile italiano non definisce espressamente la “convivenza di fatto non registrata”. Tuttavia, la Legge n. 76 del 2016 (nota come “Legge Cirinnà”) ha introdotto una distinzione importante:
da una parte, le unioni civili, destinate alle coppie dello stesso sesso, con diritti e doveri simili al matrimonio;
dall’altra, le convivenze di fatto, che possono riguardare qualsiasi coppia maggiorenne, ma che devono essere registrate presso il Comune di residenza per ottenere riconoscimento giuridico.
Chi convive senza tale registrazione rientra nella categoria delle convivenze di fatto non registrate, ossia relazioni basate sulla coabitazione stabile e sulla reciproca assistenza morale e materiale, ma senza alcun effetto automatico sul piano legale.
Casa e diritto di abitazione
Uno dei problemi più frequenti riguarda la casa familiare.
Se l’abitazione è di proprietà di uno solo dei due partner, l’altro non acquisisce alcun diritto di proprietà o di godimento. In caso di separazione, dovrà lasciare l’immobile, anche se ha contribuito alle spese o alla ristrutturazione, a meno che non riesca a dimostrare l’esistenza di un contratto o di un diritto specifico (ad esempio un comodato o un usufrutto).
Diversa la situazione nel caso di contratto d’affitto. L’articolo 6 della legge n. 392/1978 consente al convivente superstite di subentrare nel contratto di locazione se dimostra di aver convissuto stabilmente con l’inquilino defunto. Questa regola, tuttavia, non si applica automaticamente: occorre fornire prove concrete della convivenza (utenze comuni, certificazioni anagrafiche, dichiarazioni di testimoni).
Quanto al diritto di abitazione dopo la morte del proprietario, la legge lo riconosce solo alle coppie registrate o ai coniugi. Per le coppie non registrate, l’unica soluzione è predisporre un testamento o una donazione che assegni un diritto d’uso o una quota della proprietà al partner convivente.

Patrimonio, mantenimento e separazione
Il diritto civile non impone obblighi patrimoniali o di mantenimento reciproco tra conviventi non registrati.
In caso di separazione, ciascuno mantiene ciò che è intestato a suo nome e non è previsto alcun assegno di mantenimento o indennizzo, a meno che non vi sia stato un accordo scritto.
È quindi fondamentale distinguere tra:
beni personali, di proprietà esclusiva di ciascuno;
beni acquistati insieme, che devono risultare da un atto notarile o da prove contabili (fatture, bonifici, contributi economici).
Per prevenire conflitti, molti professionisti consigliano di redigere un contratto di convivenza, un documento privato o pubblico che definisce:
le spese comuni e le modalità di contribuzione;
la proprietà dei beni mobili e immobili;
i diritti in caso di cessazione della convivenza.
Questo contratto può essere stipulato davanti a un notaio o a un avvocato, e deve essere depositato presso il Comune se si vuole dargli piena efficacia.
Malattia, assistenza e decisioni sanitarie
Uno dei punti più delicati riguarda l’assistenza in caso di malattia.
Il convivente non registrato non ha alcun diritto automatico di visita o di informazione in ambito medico.
In situazioni di emergenza, può essere escluso dalle decisioni sanitarie, poiché la legge riconosce come referenti legittimi solo i parenti o le persone formalmente designate.
Per evitare questo rischio, si può:
redigere una dichiarazione anticipata di trattamento (DAT), in cui si nomina il partner come persona di fiducia;
stipulare una procura speciale sanitaria;
nominare il partner come amministratore di sostegno attraverso il tribunale.
Questi strumenti garantiscono che il convivente possa intervenire o essere informato in caso di ricovero o malattia grave.
Decesso, successione ed eredità
Alla morte di uno dei partner, il convivente non registrato non è considerato erede legittimo.
Non ha diritto a:
succedere nei beni mobili o immobili del defunto;
ricevere la pensione di reversibilità;
ottenere la liquidazione del TFR o altre indennità di fine rapporto.
L’unica via per tutelarlo è la redazione di un testamento, con il quale si può disporre di una parte del proprio patrimonio (fino a metà, se ci sono figli o genitori) a favore del partner convivente.
In assenza di testamento, tutto il patrimonio andrà agli eredi legittimi, escludendo completamente il convivente.
È importante ricordare che anche le donazioni o gli atti di cointestazione possono essere impugnati dagli eredi legittimi, se violano la quota di legittima prevista dal codice civile.
Figli e diritti genitoriali
La situazione cambia radicalmente quando si parla di figli nati da coppie non sposate o non registrate.
Grazie alle riforme introdotte nel 2012 e nel 2013, la legge italiana non distingue più tra figli nati dentro o fuori dal matrimonio.
Entrambi i genitori, se riconoscono il figlio, hanno uguali doveri e diritti: mantenimento, educazione, cura, partecipazione alle decisioni.
In caso di separazione, valgono le stesse regole delle coppie sposate: affidamento condiviso, diritto di visita e mantenimento proporzionale al reddito.
Questo principio è sancito dal D.Lgs. n. 154/2013, che ha eliminato ogni riferimento ai “figli naturali”, stabilendo la pari dignità genitoriale come norma generale del diritto di famiglia.
Come tutelarsi legalmente
Le coppie che scelgono di convivere senza sposarsi possono comunque ottenere una protezione giuridica attraverso alcuni strumenti concreti:
Registrazione della convivenza di fatto presso il Comune di residenza, gratuita, che attribuisce alcuni diritti (assistenza sanitaria, diritto di subentro nel contratto di affitto, ecc.);
Contratto di convivenza autenticato da un legale o notaio, per regolare aspetti patrimoniali e gestionali;
Testamento o donazione per garantire al partner diritti successori;
Procura sanitaria o amministratore di sostegno, per le decisioni mediche e assistenziali;
Cointestazione di conti correnti o beni mobili, da gestire con attenzione per evitare contestazioni future.
Vivere insieme senza sposarsi è una scelta libera e moderna, ma dal punto di vista legale comporta rischi concreti se non accompagnata da una pianificazione consapevole.
Le coppie di fatto non registrate non godono di tutele automatiche, e in caso di eventi imprevisti come malattia o morte di uno dei partner, il convivente può rimanere completamente escluso da ogni diritto.
Un approccio prudente e lungimirante, attraverso la redazione di atti legali mirati, è l’unico modo per costruire una convivenza solida anche dal punto di vista giuridico.
Essere informati, oggi, significa proteggere non solo i propri diritti ma anche la persona che si ama, nel rispetto della libertà di vivere la relazione fuori dalle regole del matrimonio.
Per questo è fondamentale intervenire in anticipo con strumenti giuridici mirati, così da evitare conflitti o ingiustizie in momenti delicati della vita.






