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Venezia 82, Il rapimento di Arabella: fiaba geniale o grande enigma irrisolto?

by Andrea Casamassima
7 Settembre 2025

Presentato nella sezione Orizzonti della Mostra del Cinema di Venezia 82, Il rapimento di Arabella è il nuovo film di Carolina Cavalli. Un’opera che ambisce a trasformare il rapimento in metafora del rapporto con il proprio bambino interiore, ma che fatica a mantenere coerenza e forza narrativa.

Dopo l’esordio con Amanda, Carolina Cavalli torna dietro la macchina da presa con un progetto ancora più audace: una fiaba suburbana dalle atmosfere surreali, che cerca di intrecciare leggerezza e inquietudine, intimità e grottesco. La regista sceglie una cornice volutamente rarefatta, senza riferimenti precisi, per dare al racconto una valenza universale. Ma questa sospensione rischia di diventare un limite, lasciando lo spettatore disorientato.

La trama: il viaggio di Arabella e Holly

Il film si apre con la fuga della piccola Arabella (Lucrezia Guglielmino), figlia di un padre scrittore frustrato interpretato da Chris Pine. Nel suo vagabondare, la bambina incontra Holly (Benedetta Porcaroli), una giovane studentessa di fisica segnata dalla monotonia dei “non-luoghi” in cui vive.

Arabella, con un gesto tanto innocente quanto crudele, convince Holly di essere la sua versione bambina. Per Holly questo diventa un cortocircuito emotivo: vede nella piccola la possibilità di tornare indietro e riscrivere la propria storia. Convinta che tutto sia legato a varchi spazio-temporali, decide di trattenere Arabella con sé e partire per un’avventura che diventa subito metafora della ricerca di sé stessi.

Il tentativo di una fiaba contemporanea

Con Il rapimento di Arabella, Cavalli vuole costruire un racconto sospeso tra ironia e malinconia. Il rapimento non è mai visto come atto criminale, ma come una metafora del bisogno di riconciliarsi con il proprio lato infantile, spesso soffocato o rimosso.

Il film richiama le atmosfere più grottesche dei fratelli Coen e la delicatezza sospesa dello Sean Baker di The Florida Project, ma questi riferimenti restano solo evocazioni. Il ritmo dilatato e i dialoghi rarefatti non riescono a generare quello straniamento fertile che la regista cerca: lo spettatore resta a distanza, senza mai sentirsi davvero coinvolto.

Un cinema del bizzarro che non convince

Il meccanismo del paradosso e dell’elemento surreale dovrebbe creare empatia attraverso lo straniamento. Invece, qui il risultato è fragile. Gli elementi bizzarri – dai comportamenti assurdi ai dialoghi spezzati – rimangono esercizi di stile, senza mai esplodere in vera poesia o in autentica ironia.

La sensazione costante è che il film voglia sempre rimandare a un significato ulteriore, ma questo significato resti troppo evidente per essere misterioso e troppo fragile per reggere la metafora.

Le interpretazioni: Porcaroli e Guglielmino spiccano

Il vero punto di forza del film è il cast. Benedetta Porcaroli dà corpo a una Holly fragile e credibile, rendendo la sua crisi esistenziale palpabile. La piccola Lucrezia Guglielmino sorprende per naturalezza e carisma: la sua presenza sullo schermo è di gran lunga la più vitale dell’intera pellicola.

Diversa la sorte per Chris Pine, che appare un corpo estraneo, mai realmente integrato nella narrazione. Gli altri personaggi restano sfumati, quasi figure decorative più che veri motori del racconto.

Solo nel finale arriva un momento di intensità: un monologo che cerca di dare senso a tutta la vicenda. Ma proprio questa scelta di spiegare apertamente la metafora mostra i limiti dell’opera: ciò che doveva restare in filigrana viene detto troppo chiaramente, togliendo forza all’insieme.

Valutazione finale

Il rapimento di Arabella è un film coraggioso ma irrisolto. Cavalli tenta di raccontare una favola contemporanea che unisce surrealismo e intimità, ma il rischio della sospensione è quello di trasformarsi in vuoto.

Il film rimane sospeso, incapace di trovare una propria dimensione compiuta: più un esercizio di stile che un’opera capace di lasciare un segno. Nonostante le buone interpretazioni e l’ambizione del progetto, il risultato finale è un’opera che affascina a tratti ma lascia lo spettatore ai margini.

Alla fine, il rapimento più grande sembra quello delle stesse buone intenzioni della regista, inghiottite da un impianto che non riesce a mantenere la promessa iniziale.

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