La polmonite interstiziale è una condizione spesso poco conosciuta ma potenzialmente molto seria, perché riguarda l’interstizio polmonare, cioè il tessuto che sostiene gli alveoli e permette lo scambio di ossigeno con il sangue. Quando questo tessuto si infiamma o si ispessisce, la respirazione diventa progressivamente più difficile, fino ad arrivare nei casi estremi alla insufficienza respiratoria acuta. Le cause possono essere molte, dalle malattie autoimmuni alle esposizioni professionali, dai farmaci fino alle infezioni virali come SARS-CoV-2, e riconoscerla rapidamente permette di impostare la terapia più adeguata.
Che cos’è la polmonite interstiziale e perché l’interstizio è così importante
Nella struttura del polmone gli alveoli sono le piccole sacche che permettono gli scambi gassosi e che sostengono il ritmo quotidiano della respirazione. Intorno a queste strutture c’è l’interstizio polmonare, una rete di tessuti che funziona come una sorta di impalcatura elastica. Quando l’interstizio si infiamma si altera la capacità degli alveoli di espandersi e contrarsi nel modo corretto e, di conseguenza, l’ingresso dell’ossigeno nel sangue diventa meno efficiente.
La polmonite interstiziale può comparire in forme più lievi, ma in situazioni particolarmente severe l’infiammazione si accompagna a ispessimento e cicatrizzazione del tessuto, fenomeno che riduce l’elasticità del polmone e può portare alla fibrosi polmonare, una condizione permanente e difficile da trattare. È per questo che i medici la classificano fra le interstiziopatie, un gruppo di malattie che coinvolgono questi tessuti delicati.
Le cause possibili sono numerose: alcune forme nascono come conseguenza di malattie autoimmuni come artrite reumatoide o sclerosi sistemica, altre sono legate a esposizioni professionali a polveri come silice o asbesto, altre ancora sono una complicanza della radioterapia eseguita per tumori al polmone o al seno. Esiste poi la forma indotta da farmaci, dove medicinali come metotrexato, ciclofosfamide, amiodarone, nitrofurantoina o bleomicina possono scatenare una reazione infiammatoria nell’interstizio. Una parte significativa dei casi è invece dovuta a infezioni virali, batteriche o fungine, fra cui rientrano SARS-CoV-2, Mycoplasma pneumoniae e Pneumocystis jirovecii. In alcuni pazienti, nonostante indagini complete, la causa rimane sconosciuta: in questi casi si parla di polmonite interstiziale idiopatica.

Sintomi, rischi, diagnosi e terapie: cosa succede quando si sviluppa la malattia
Il primo segnale che qualcosa non va è quasi sempre la dispnea, cioè la sensazione di respiro corto. All’inizio compare solo durante lo sforzo, ma nei casi avanzati emerge anche a riposo ed è uno dei sintomi più allarmanti perché indica una difficoltà marcata degli alveoli a funzionare. Accanto alla dispnea si manifestano tosse secca, stanchezza persistente e, nelle forme infettive, febbre. Alcuni pazienti descrivono dolore al petto, perdita di appetito, mal di testa o una sensazione generale di debolezza. Nelle varianti più rare compaiono anche dita a bacchetta di tamburo, ingrossamento dei linfonodi del collo o disturbi oculari.
A essere più esposti al rischio sono i fumatori, gli over 60, chi soffre di malattie polmonari croniche come la BPCO, le persone immunodepresse e chi lavora a contatto con polveri irritanti. Nelle forme infettive, gli anziani e i soggetti fragili sono anche più predisposti alle complicanze, che possono includere insufficienza respiratoria, danni polmonari permanenti e, in alcuni casi, problemi renali.
La diagnosi richiede un percorso che comprende anamnesi, visita clinica, esami di funzionalità respiratoria come ossimetria, spirometria e test da sforzo, oltre alla diagnostica per immagini come radiografia del torace e soprattutto TAC ad alta risoluzione, fondamentale per identificare le alterazioni dell’interstizio. Quando si sospetta una causa infettiva vengono eseguiti esami di laboratorio su sangue o altri campioni biologici per isolare il patogeno responsabile. Nei casi più complessi può essere necessario ricorrere a broncoscopia o a una biopsia polmonare, utile per chiarire la natura dell’infiammazione.
Il trattamento cambia in base all’origine della malattia. Le forme non infettive rispondono spesso ai corticosteroidi come il prednisone, talvolta associati a immunosoppressori. Le polmoniti interstiziali batteriche richiedono antibiotici mirati, quelle fungine un antifungino specifico, mentre le forme virali vengono monitorate con attenzione in ambito ospedaliero in attesa della regressione spontanea dell’infezione, con supporto sintomatico a base di idratazione e antipiretici. Nei quadri più gravi, quando si sviluppa insufficienza respiratoria acuta, è necessario il ricovero in terapia intensiva con ventilazione meccanica e intubazione.
La prognosi varia molto: le forme lievi tendono a risolversi completamente, soprattutto nei soggetti giovani e senza patologie pregresse, mentre quelle più severe possono lasciare esiti permanenti. La prevenzione resta fondamentale e passa da comportamenti semplici come lavare regolarmente le mani, evitare il fumo e limitare l’esposizione a polveri nocive, oltre a una alimentazione equilibrata che supporti le difese immunitarie.






