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Perché la Spagna cresce più di tutti: lavoro, energia e investimenti che trainano il paese

L’economia spagnola cresce oltre il doppio della media europea grazie a riforme del lavoro, investimenti esteri, politiche migratorie flessibili e un uso mirato dei fondi del Next Generation EU

by Matilde Giunti
25 Novembre 2025

La Spagna è oggi l’economia più sorprendente dell’Europa occidentale. Le nuove stime della Commissione Europea indicano una crescita del PIL al 2,9%, più del doppio rispetto alla media dell’Unione e lontanissima dai ritmi della Germania o dell’Italia. Non è un caso isolato, ma il risultato di un percorso iniziato anni fa con riforme strutturali, una gestione diversa del mercato del lavoro e un approccio migratorio che punta a sostenere il sistema produttivo invece di frenarlo. La crescita spagnola è il prodotto di politiche coordinate e di un contesto economico che sta attirando capitali esteri, creando occupazione e rafforzando un settore industriale che molti credevano in declino.

Il ruolo decisivo del lavoro: la riforma del 2021, l’aumento dell’occupazione e una strategia migratoria opposta al resto d’Europa

Per capire perché la Spagna cresce più degli altri bisogna partire dal mercato del lavoro, che negli ultimi dieci anni ha vissuto una trasformazione radicale. La disoccupazione, pur restando all’11,4%, si è dimezzata rispetto al passato, mentre il tasso di occupazione ha raggiunto livelli storici, sostenendo consumi e fiducia. La riforma del 2021, considerata uno dei passaggi chiave, ha ridotto l’abuso dei contratti temporanei che per anni avevano alimentato precarietà cronica e salari bassi. Il contratto “obra y servicio”, usato spesso in maniera impropria, è stato eliminato, mentre sono stati potenziati i fijos discontinuos, una forma di tempo indeterminato applicata alle attività stagionali o intermittenti che garantisce continuità lavorativa, formazione e tutele.
Il sistema ha iniziato a funzionare con maggiore stabilità perché collegato a investimenti pubblici molto consistenti: 6,8 miliardi in dieci anni destinati a formazione, incentivi all’assunzione, autoimpiego e politiche attive distribuite in oltre 700 centri per l’impiego, con una gestione decentrata che ha favorito il dialogo fra imprese e territori. Le disparità regionali restano forti, così come la disoccupazione giovanile e il ricorso involontario al part-time, ma il quadro generale è molto più dinamico rispetto a quello di altri paesi dell’Eurozona.
Un fattore che distingue la Spagna dal resto d’Europa è la sua politica migratoria. Mentre molti paesi hanno irrigidito i criteri di ingresso, Madrid ha adottato un modello pragmatico basato sul Catálogo de ocupaciones de difícil cobertura, uno strumento che permette alle aziende di assumere lavoratori extra-UE durante tutto l’anno, senza quote fisse o click day. Il risultato è stato un aumento rapido e controllato della forza lavoro disponibile: la popolazione nata all’estero è salita fino al 18,6%, una delle percentuali più alte d’Europa.
La vicinanza linguistica ha facilitato l’inserimento degli immigrati provenienti dall’America Latina, riducendo la distanza culturale e accelerando l’ingresso nel mercato del lavoro. Allo stesso tempo la Spagna ha creato percorsi permanenti di regolarizzazione per chi vive nel paese senza documenti, trasformando situazioni irregolari in rapporti di lavoro legali. La combinazione fra riforme contrattuali, investimenti e integrazione migratoria ha contribuito a generare un mercato del lavoro più ampio, più stabile e più adatto alle esigenze dell’economia.
Questa disponibilità di manodopera è uno dei motivi per cui molte multinazionali hanno scelto di investire in Spagna negli ultimi anni. Dal 2015 al 2024 gli investimenti stranieri hanno raggiunto 304 miliardi, molto più dei 191 miliardi arrivati in Italia, con un impatto significativo su settori come i servizi, l’industria e l’agricoltura. In particolare il comparto automotive ha vissuto un potenziamento decisivo: la Spagna è oggi il secondo produttore europeo con 2,4 milioni di veicoli nel 2024, pari al 10% del suo PIL. Il Paese sta così costruendo una crescita che unisce riforme, occupazione e capacità di attrarre imprese.

Investimenti esteri, fondi europei e il peso delle rinnovabili: perché il modello spagnolo diverge dalle altre economie UE

Uno dei motori più significativi della crescita spagnola è l’arrivo massiccio di investimenti esteri, sostenuti da un costo dell’energia più basso della media europea e da una struttura industriale che si sta diversificando rapidamente. La transizione energetica è uno dei settori in cui la Spagna si muove con maggiore anticipo rispetto ai partner europei: oltre la metà del fabbisogno nazionale arriva oggi da energie rinnovabili, una quota che riduce drasticamente la dipendenza da fonti fossili e abbassa i costi per imprese e consumatori. Un megawattora costa 61 euro, contro gli 83 della Germania e i 109 dell’Italia, una differenza che rende più semplice avviare attività produttive e mantenere margini competitivi.
Un altro elemento cruciale è il ruolo dei fondi europei del Next Generation EU, di cui la Spagna è uno dei principali beneficiari: 163 miliardi tra sovvenzioni e prestiti a tasso agevolato, una cifra che incide sul PIL tra l’1,2% e l’1,7% secondo le stime della Banca Centrale spagnola. Madrid ha scelto un modello partecipato e trasparente per gestire questi fondi, coinvolgendo amministrazioni locali, imprese e sindacati nella pianificazione e nella verifica dei progetti. Questa organizzazione ha favorito una diffusione più uniforme degli investimenti, anche se rimangono squilibri storici fra regioni più ricche e più povere.
Le risorse del Next Generation EU stanno rafforzando settori strategici come infrastrutture, digitalizzazione, ricerca industriale e rinnovabili, ma gli economisti avvertono che il momento decisivo arriverà nei prossimi anni, quando si vedrà quanto di questa spesa si sarà trasformata in crescita strutturale. La Spagna dovrà affrontare limiti ancora presenti: la produttività del lavoro resta bassa rispetto alla media europea perché la dimensione delle imprese è ridotta e gli investimenti in innovazione rimangono inferiori a quelli dei concorrenti più avanzati. A questo si aggiunge una struttura amministrativa molto decentralizzata che rischia di distribuire in modo diseguale i benefici del programma.
Il tema politico rappresenta un’altra variabile. Il primo ministro Pedro Sánchez, al governo dal 2018, ha approvato molte delle riforme che hanno sostenuto la crescita, ma oggi appare indebolito da scandali e tensioni interne alla coalizione. Le elezioni del 2027 potrebbero aprire una fase più instabile, con un panorama politico frammentato che rischia di complicare il proseguimento delle politiche attuali.
Nonostante queste incertezze, la Spagna continua a presentarsi come un’eccezione positiva nel contesto europeo. L’unione tra riforme del lavoro, investimenti, energia meno costosa, attrattività per le imprese e politiche migratorie flessibili ha generato un modello economico che sta correndo più veloce degli altri. La sfida sarà mantenere questo ritmo trasformandolo in una crescita duratura, equilibrata e capace di superare le fragilità storiche del paese.

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