Nel Documento programmatico di Bilancio che anticipa la manovra economica 2026, il capitolo pensioni è quasi assente. Una scelta che pesa, soprattutto considerando che il fondo disponibile è stato aumentato da 15 a 18 miliardi di euro, ma senza destinare risorse significative al fronte previdenziale. Le prime indiscrezioni parlano di un pacchetto ridotto ai minimi, concentrato unicamente sul tentativo di bloccare l’aumento dell’età pensionabile previsto per il 2027, senza nuovi interventi di flessibilità o incentivi strutturali.
Pensione a 67 anni: il governo punta a bloccare l’aumento previsto dalla Fornero
La legge Fornero stabilisce che ogni due anni l’età pensionabile venga adeguata alle variazioni dell’aspettativa di vita. Dopo la sospensione dovuta alla pandemia, dal 1° gennaio 2027 dovrebbe scattare un nuovo aumento di 3 mesi, portando la pensione di vecchiaia a 67 anni e 3 mesi. Il governo sta valutando come intervenire per evitare l’innalzamento automatico, ma le risorse limitate rendono l’operazione difficile.
L’obiettivo principale è difensivo: mantenere invariati i requisiti attuali ed evitare che milioni di lavoratori debbano restare al lavoro più a lungo. Tuttavia, anche nel caso in cui l’esecutivo riuscisse a bloccare parzialmente l’aumento, è probabile che non tutti i lavoratori saranno coinvolti nel congelamento. L’ipotesi più accreditata è che la misura venga riservata a categorie “fragili” — come gli addetti a mansioni gravose o usuranti, i disoccupati di lungo periodo, gli invalidi e i caregiver — lasciando invece invariata la regola generale per tutti gli altri.
In parallelo, il requisito contributivo per la pensione anticipata salirebbe a Quota 43, cioè 43 anni e un mese di contributi per gli uomini e 42 anni e un mese per le donne. Anche per le opzioni contributive è previsto un aumento: vecchiaia a 71 anni e 3 mesi, anticipata a 64 anni e 3 mesi.
Le misure confermate: Quota 103, Ape Sociale e Opzione Donna
Nonostante l’assenza di nuove risorse, il governo sembra intenzionato a confermare le formule di flessibilità già in vigore: Quota 103, Ape Sociale e Opzione Donna. Nessuna di queste, però, subirà modifiche sostanziali.
La Quota 103, introdotta per consentire l’uscita con 62 anni d’età e 41 di contributi, continuerà a essere penalizzante: resta infatti il ricalcolo interamente contributivo dell’assegno, che riduce sensibilmente l’importo della pensione. Sarà inoltre mantenuto il bonus per chi rinvia il pensionamento, un incentivo rivolto a chi decide di restare in servizio pur avendo raggiunto i requisiti minimi.
L’Ape Sociale rimarrà una delle poche vie d’uscita per determinate categorie — disoccupati, invalidi, caregiver e lavoratori in attività usuranti — ma senza ampliamenti o aumenti delle soglie di reddito.
La situazione più critica riguarda Opzione Donna, ormai ridotta a una misura di facciata. La riforma introdotta dal governo Meloni ha ristretto l’accesso solo a caregiver, lavoratrici con invalidità superiore al 74% o dipendenti licenziate da aziende in crisi. Servono 61 anni d’età e 35 di contributi, ma le nuove condizioni escludono la maggior parte delle lavoratrici. Quella che un tempo era una reale alternativa alla Fornero oggi appare come un canale marginale, utilizzabile da poche migliaia di persone.
Le prospettive per il 2026, dunque, non lasciano spazio a grandi aspettative. Il governo punta a una manovra prudente, concentrata su fisco e redditi medio-bassi, lasciando il tema delle pensioni in stand-by. Il rischio concreto è che il prossimo biennio si apra con uno dei pacchetti previdenziali più poveri degli ultimi anni, senza una reale riforma del sistema e con milioni di lavoratori destinati a restare in servizio oltre i 67 anni.






